Chandra livia candiani questo immenso non sapere

Bestia di gioia

Versione Standard

Per la prima volta Mariangela Gualtieri ha scritto una raccolta poetica fortemente strutturata, con un ritmo meno magmatico delle precedenti, scandito da sezioni che articolano il libro alternando temi e toni diversi, in particolare il canto gioioso, quasi francescano, della natura e la riflessione sulle cose umane, sullo strappo del tempo, sul momento finale, più misterioso che triste, che trasforma il niente in “un niente più grande”. In realtà le cinque sezioni del libro, se danno una sensazione di maggiore classicità (come i cinque atti del teatro antico), sono legatissime fra loro, in parte concatenate, in parte attraversate da fili addirittura lessicali, e proseguono fedelmente il discorso poetico dell’autrice, sempre fortemente ispirato. Non mancano dunque scissioni interiori, proliferare di voci profonde e laceranti, come nelle raccolte passate, ma la prospettiva trascendente è perlopiù proiettata all’esterno, su un albero, sull’aria che sta fra i corpi, sul silenzio che lega le cose. E questa prospettiva, in misura ancora maggiore che in “Senza polvere senza peso”, traccia un percorso di felicità istintivo e infuocato, ma nello stesso tempo pacificante. Anche a livello metrico il libro mostra un rapporto più pacato con la tradizione, con una forte disseminazione di endecasillabi e altri versi regolari, senza perdere il senso più profondo dell’originaria aggressività.

Autore : Mariangela Gualtieri

“Forse è l’andatura della mente, forse quella del ricordo, forse è l’intenzione di essere volatile o l’aspirazione

alla semplicità, in ogni caso è qualcosa di sfuggente che non vuole essere imbrigliato in un piano: come un

animale o come un albero della foresta, non addomesticati, inutili, nel senso che non si curano di avere uno

scopo, sono in vita e gli basta. Il disordine è questo essere così come si è seguendo un filo illogico di stare al

mondo”

È della natura il fin la meraviglia. Così si potrebbe riassumere il messaggio finale dell’ultima opera di

Chandra Candiani, Questo immenso non sapere. La meraviglia può essere un antidoto contro le tossine

della paura; basta riuscire a praticare il sano esercizio di rifuggire il risaputo, il banale, lo scontato e

cominciare invece a vedere la realtà con uno sguardo colmo di meraviglia.

Senza nessuna pretesa di imbrigliare il reale in un piano dal rigore cartesiano, anche il semplice accettare di

non conoscere già tutto può aprire le strade infinite della meraviglia e della sperimentazione; strade capaci

di avvicinare gli esseri umani al mondo naturale, obiettivo ultimo di Chandra Candiani e del suo Questo

immenso non sapere.

Recensione di Samuel

in #recensione Chandra Livia Candiani Claudia Consoli Einaudi Poesia

Aprirsi alla meraviglia e a "Questo immenso non sapere": le meditazioni di Chandra Candiani sulla natura, la vita, l'amore

Chandra livia candiani questo immenso non sapere

Questo immenso non sapere 
di Chandra Candiani
Einaudi, 2021

pp. 168
€ 12,00 (cartaceo)
€ 4,99 (ebook)

La pratica della meraviglia è una pratica che cura anche il cuore più ferito della terra. (p. 9)

Questo immenso non sapere di Chandra Candiani è un esercizio di meraviglia, ed è un esercizio dei più difficili perché a meravigliarci non ci insegna quasi mai nessuno. Cresciamo con l'idea che acquisire maturità sia costruire una vita fatta di massimi sistemi, ancorarci a tutte le cose che contano davvero per gli esseri umani adulti. Indossiamo nuove lenti perfette per vedere lontano e dimentichiamo com'è abbassare lo sguardo sulle cose vicine.
La poetessa ci avvicina in questo libro ad alcune dimensioni che hanno la semplicità dell'esistere più comune, immagini che diventano paradigmi perché inserite all'interno di una discussione a tu per tu con il cuore dell'uomo e il cuore della terra: un piccolo pezzo di prato in città, un vecchissimo olmo che somiglia a un signore tutto pelle e ossa, i gatti che ha amato e i cani che ha incontrato per strada, i paesi di campagna dove le strade a un certo punto finiscono, il pupazzo di una giraffa che guarda fuori dalla finestra dello studio allungando il collo.Nella scelta di spostare la lente della scrittura sulla vita che semplicemente accade Chandra Candiani mette a fuoco la meraviglia come pratica di ascolto del cuore. Muscolo involontario che non risponde a nostri comandi, se non a quelli più intimi e impliciti, il cuore spesso prova paure antiche e tremori negati che noi continuiamo a negargli. Mettersi in ascolto del cuore significa coltivarlo nella consapevolezza e nell'accoglienza di tutto ciò che troveremo. 
C'è una pagina tra le più intense in cui ci invita ad ammettere davvero cosa sentiamo abbracciando le nostre meschinità e malvagità fino ad arrossirne. Solo da questo può prendere le mosse  l'opera di bonifica del cuore: dalla compassione come intelligenza di sentimento. Vale verso gli altri e vale verso noi stessi. 
Tanto spazio nel volume è riservato al silenzio che sembra aprirsi un varco tra le pagine come in un paradosso: un testo per sua natura è riempito di parole, eppure questo sembra percorso più dai silenzi. 

Sarà la brevità delle riflessioni, o sarà quel bianco che dalla tipica copertina della collana Vele si estende ad abbracciare tutto, come in una grande camera vuota illuminata dal sole. O più probabilmente sarà il titolo che si afferma potente attraverso una negazione: nel "non sapere" c'è tutto il silenzio di chi ha imparato che "chi sa o crede di sapere molto sperimenta solo esperienze di seconda o di centesima mano, non è mai in intimità con niente, non trema davanti al non conosciuto e non si inoltra."
Questo immenso non sapere ci chiama alla pausa e alla sosta, ci chiama a inoltrarci 
È un libro pieno di meraviglia, di silenzi, di animali e alberi. Da loro si impara a vivere secondo l'istinto dell'esistere, con loro andiamo verso una direzione che è meno cerebrale e più cellulare. 

Candiani definisce questa raccolta un "libro disordinato" che lei non ha voluto ordinare perché ogni disordine ha un suo misterioso ordine interno. E anche perché la vita è profondamente disordinata, aggiungerei, quindi i nostri tentativi di metterla in ordine funzionano fino a che nel suo flusso non entriamo davvero.
In questo disordine poetico letterario le riflessioni giocano a rincorrersi l'un l'altra mentre mi accorgo che cerco di trattenerle sottolineandole. Se rivedo i punti che più ho annotato spiccano soprattutto gli appunti sulla pericolosità di chi crede di essere buono, sull'infanzia come luogo dell'indimenticabile e sulla sofferenza come oggetto di conoscenza. 
L'autrice indaga a fondo il tempo, la pazienza e l'addestramento necessari a capire il nostro dolore e riprende il sentimento del calviniano Palomar che diceva che "non possiamo comprendere nulla d'esterno a noi scavalcando noi stessi". 
Resta la concreta sensazione che essere leggeri sia quanto di più complicato perché ci richiede di imparare a perdere mille cose a cui continuiamo ad aggrapparci. Perdere non come opposto di vincere, ma come opposto di tenere e trattenere. È in questa grammatica della leggerezza e della perdita che stanno strade nuove e nuove e più autentiche forme d'amore.