Com'è profondo il mare significato

Era il 1977 quando Com’è Profondo Il Mare di Lucio Dalla entrò nelle nostre vite come una sorpresa che non sapevamo di attendere. Era un cantautore nuovo, e non in termini di discografia: il disco, con le sue 8 tracce, era stato scritto per la prima volta interamente da Dalla che si era scrollato di dosso la presenza del poeta Roberto Roversi, suo paroliere per i tre album precedenti (Il Giorno Aveva Cinque Teste, Anidride Solforosa e Automobili) per sentirsi più libero come artista.

Forse non era proprio così, ma Com’è Profondo Il Mare è soprattutto la storia di quegli accordi iniziali. Probabilmente Lucio Dalla, mentre componeva quel puzzle di parole distopiche e storiografiche (ci piace chiamarle distoriche, fate voi), si trovava di fronte a Rosalino Cellamare (proprio lui, Ron) intento ad armeggiare con quella chitarra acustica, su quegli accordi decisi, stoppati da una mano che percuoteva la cassa armonica in uno stile che faceva molto Neil Young.

La penna andava sul foglio mentre Lucio Dalla guardava il panorama delle Isole Tremiti, le stesse che da poco ci hanno restituito una sua maglietta autografata intrappolata per tanti anni sul fondale del mare. Un segnale, uno scherzo del cantautore bolognese che si diverte ancora a sorprenderci mentre nell’Empireo si diletta in featuring con Fabrizio De André, Lucio Battisti e sicuramente sotto l’occhio stupito di Dio.

La critica parla di esegesi, quando mette sotto esame Com’è Profondo Il Mare di Lucio Dalla, e lo fa con ragione: il testo è un excursus spazio temporale della storia dell’uomo raccontata con ermetismo e risentimento, ma anche con un po’ di paura. Lo impariamo dal theremin che viaggia sulla quinta diminuita nell’intro del brano, quel diabolus in musica che poi cede il posto al fischio quando interviene il basso prima di lasciare spazio al canto.

Elettrico e nervoso come le onde del mare, il brano contiene una serie di metafore e figure simboliche di cui Lucio Dalla volle servirsi per insegnarci l’arte della parola, del dissenso e della capacità semantica. Niente, nel testo di Com’è Profondo Il Mare, è lasciato al caso.

Era il 1977 e la contestazione in Italia si tradusse con l’espressione anni di piombo che furono anni di terrore e sangue. Lo Stato rispondeva con forze militari alle lotte che incendiavano le strade, e nella Bologna di Lucio Dalla tutto faceva paura.

Un tentativo di esegesi

Siamo noi
Siamo in tanti
Ci nascondiamo di notte
Per paura degli automobilisti
Dei linotipisti
Siamo i gatti neri
Siamo i pessimisti
Siamo i cattivi pensieri
E non abbiamo da mangiare.

“Siamo noi”. Esordì così, Dalla, per prepararsi a rispondere alle domande di chi si interrogava sul senso del brano. Nascosti da auto in corsa pronte a inondarci di proiettili, dalle macchine Linotype che vomitavano articolacci di partito e dalla felicità talmente assente da renderci pessimisti. “E non abbiamo da mangiare”, nonostante questa pulsione a tutelare la nostra incolumità fisica e spirituale.

Babbo, che eri un gran cacciatore
Di quaglie e di fagiani
Caccia via queste mosche
Che non mi fanno dormire
Che mi fanno arrabbiare.

Il “babbo cacciatore”, capace di procacciare selvaggina alla famiglia diventa il difensore del figlio dalle mosche, insetti che lo tormentano. Quasi un’evocazione che vede un Lucio Dalla indifeso cercare una figura paterna che lo liberi dalla paura, un fumo nero che è il colore di quegli anni, il lezzo della polvere da sparo che soffoca la libertà del respiro.

È inutile
Non c’è più lavoro
Non c’è più decoro
Dio o chi per lui
Sta cercando di dividerci
Di farci del male
Di farci annegare.

“Dio o chi per lui” è il ritratto della presunzione di onnipotenza dell’uomo. Dobbiamo ricorrere, a questo giro, al nauseante binomio tra l’avverbio di modo “tremendamente” e l’aggettivo “attuale”, perché seppur dal 1977 siano passati 43 anni la consapevolezza di un sistema divisivo anziché unificante è ancora vivo e palpabile.

Chi detiene il megafono più forte per raccogliere il consenso non cerca l’unione, cerca la distinzione. I politici si fanno maldestri portavoce di un linguaggio che titilla la paura della gente anziché la voglia di serenità e pace. Accadeva anche nel 1977, quando l’Italia già non prestava orecchio e si rivelava incapace di difendersi da se stessa.

Con la forza di un ricatto
L’uomo diventò qualcuno
Resuscitò anche i morti
Spalancò prigioni
Bloccò sei treni
Con relativi vagoni
Innalzò per un attimo il povero
Ad un ruolo difficile da mantenere
Poi lo lasciò cadere
A piangere e a urlare
Solo in mezzo al mare.

La prima tappa dell’autodistruzione dell’umanità del Novecento: la Rivoluzione Russa del 1917 in cui “l’uomo” citato da Dalla non era che il Nessuno della classe operaia diventato Qualcuno e dunque capace di decidere, finalmente, per poi dimenticarsi e ritrovarsi “solo in mezzo al mare” a “piangere e a urlare”.

Poi da solo l’urlo
Diventò un tamburo
E il povero come un lampo
Nel cielo sicuro
Cominciò una guerra
Per conquistare
Quello scherzo di terra
Che il suo grande cuore
Doveva coltivare.

Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, uno dei più atroci episodi della storia dell’uomo che Lucio Dalla dipinge come uno stadio avanzato dell’autodistruzione. “L’urlo diventò un tamburo” è il pericolo delle conseguenze del malcontento, che se trova voce in un folle con manie di grandezza e rancore si trasforma in genocidio o “malconsenso“.

Le terribili conseguenze dell’odio sono al centro della sesta strofa, quando all’uomo viene portata via quella terra che era convinto di aver conquistato e si ritrova in un fosso mentre intorno a lui si consumano bastonate e catene. Sono i campi di concentramento, il declino dell’uomo verso l’inferno.

Nella settima strofa la “Commozione” che “Mise d’accordo tutti” è la bomba atomica, una diabolica strategia di potere mascherata come unica soluzione per porre fine a tutto, ma che diventò un segnale inequivocabile di quanto l’uomo fosse in grado di giocare con la morte.

“Com’è profondo il mare” è la frase che chiude ogni strofa, ed è quella carezza necessaria dopo i tanti stadi della via crucis dell’uomo. Lucio Dalla inserì il suo motto come guarnizione di ogni paragrafo della sua cronistoria ermetica, come fece Rino Gaetano ne Il Cielo È Sempre Più Blu e come fece Luigi Tenco per Ciao Amore Ciao.

Oggi il cantautore bolognese avrebbe compiuto 77 anni e celebrarlo con un’analisi di questo brano è doveroso. No, non ci aveva visto lungo e nemmeno aveva profetizzato il nostro presente: Lucio Dalla ci aveva offerto le parole giuste per raccontarci e ci aveva conferito il potere di diventare una metafora.

Com’è Profondo Il Mare di Lucio Dalla è un’occasione per metterci in discussione, specialmente quando ci sentiamo soli nella nostra frustrazione, nel nostro risentimento verso il mondo e nel nostro mondo: nessuno potrà impedire il nostro pensiero finché saremo oceano.

Come è profondo il mare spiegazione?

Il brano narra la storia del mondo (impresa piuttosto ardua!), un mondo costellato dalla violenza, una violenza rivolta soprattutto al pensiero, alle idee, dunque al mare. La metafora che utilizza Dalla, dal sapore psicologico ed ancor più precisamente psicoanalitico, appare assolutamente calzante e profonda.

Com'è profondo il mare chi l'ha scritta?

Lucio DallaCome è profondo il mare / Compositorenull

Com'è profondo il mare ispirazione?

“Non è una canzone autobiografica vera e propria ma mi piace pensare che quell'uomo possa essere io, venuto dal mare, dal mare del Sud che sa amare. Quel sud sono le Tremiti”. Non ha esitazioni Lucio Dalla, autore di 4 marzo 1943, nello scegliere le Tremiti come le sue isole preferite.

Quanto è profondo il mare?

Quanto è profondo il mare? Vediamo insieme quanto è profondo il mare: Il mare più profondo è l'oceano Pacifico che ha una profondità massima, corrispondente alla fossa delle Marianne, di 11 034 m e una profondità media 4 270, con fosse che superano gli 11 000 m.