Recidiva dopo trapianto autologo linfoma non hodgkin

I linfomi sono malattie tumorali del sangue, che si sviluppano per una abnorme crescita di cellule che normalmente servono a regolare il sistema di difesa (sistema immunitario) di una persona. Di tutte le cellule del sistema immunitario, quelle che sono interessate nello sviluppo dei linfomi sono i linfociti B (produttori di anticorpi) e i linfociti T (cellule che regolano il funzionamento del sistema immunitario “accendendolo” o “spegnendolo” verso particolari stimoli).
Genericamente, a seconda che si sviluppino da un anormale proliferazione dei linfociti B o T i linfomi vengono definiti Linfomi non Hodgkin a cellule B o a cellule T.
Inoltre, a seconda del comportamento clinico, i linfomi possono essere considerati “indolenti” o “aggressivi”, e ciascuno di questi ha pro e contro.
I linfomi indolenti tendono ad avere un andamento più tranquillo nel tempo, senza grandi sintomi e con linfonodi che aumentano piano piano di dimensioni o linfociti nel sangue che incrementano di numero in modo graduale, ma sono quasi sempre malattie croniche: Infatti, qualora sia necessario un trattamento, spesso rispondono molto bene ma poi nel tempo tenderanno a ripresentarsi e dovranno essere nuovamente trattati.
I linfomi aggressivi, viceversa, possono dare sintomi percepibili (febbre, perdita di peso, sudorazioni) e tendono a presentarsi rapidamente; altrettanto rapidamente devono perciò essere trattati, senza la possibilità di stare “fermi ad osservarli” per mesi o anni. Tuttavia, anche questi linfomi frequentemente rispondono alle cure e, in questi casi, vengono spesso eliminati. Per molti pazienti con linfoma aggressivo è pertanto possibile arrivare a ottenere una (a volte faticosamente conquistata) guarigione!
In questo articolo ci occuperemo dei linfomi più frequenti in assoluto, che sono i linfomi aggressivi a cellule B.

Perchè si formano? Le cause dei linfomi aggressivi.
In realtà per i linfomi aggressivi non sono note correlazioni certe con fattori scatenanti, come invece è possibile per alcuni linfomi indolenti (ad esempio l’infezione dal Helicobacter pylori con il linfoma gastrico MALT).
Tuttavia si è osservata una maggiore probabilità di sviluppare il linfoma in associazione a:

  • una età più avanzata (con l’età si sviluppa un fenomeno detto di immunosenescenza, ovvero un peggior funzionamento del nostro sistema immunitario nel controllare lo sviluppo di cellule anomale, che dovrebbero essere “autoeliminate”)
  • alcune infezioni virali (ad esempio l’epatite C rappresenta uno “stimolo” continuo al sistema immunitario, questo rende ancora più importante l’obiettivo di eradicazione di questa infezione che il nostro Paese si è dato entro il 2020!)
  • le terapie immunosoppressive, ovvero le terapie (cortisone per lungo tempo, ciclosporina, etc…) che servono a bloccare volutamente il sistema immunitario per permettere un trapianto d’organo
  • non sono invece noti con certezza casi “ereditari” di linfoma, infatti ad oggi non è consigliato nessuno “screening” particolare per i familiari di pazienti con linfoma

 
Quanti sono i linfomi non Hodgkin B aggressivi?
L’elenco è molto lungo, esiste un apposito gruppo di medici che redige una vera e propria classificazione mondiale dei linfomi, che comprende oltre 50 tipi di linfomi non Hodgkin, di cui circa la metà hanno un andamento aggressivo.

    Recidiva dopo trapianto autologo linfoma non hodgkin

Tuttavia, la maggior parte di questi linfomi sono estremamente rari; anzi, a dire il vero, un solo sottotipo di linfoma non Hodgkin aggressivo è particolarmente frequente (rappresenta circa un terzo di tutti i linfomi non Hodgkin): il Linfoma B diffuso a grandi cellule.

  Come si presenta questa malattia?
Come dicevamo, innanzitutto bisogna fare attenzione ai sintomi.
Una importante perdita di peso in pochi mesi, sudorazioni profuse soprattutto di notte o una febbre inspiegabile che compaia prevalentemente alla sera sono un campanello di allarme.
Il quadro clinico di presentazione dei linfomi aggressivi dipende infatti dalla cinetica di crescita tumorale e dalle sedi interessate.
Essi sono comunemente caratterizzati da rapida insorgenza, spesso associata a sintomatologia sistemica (febbre, sudorazione notturna, calo ponderale) dovuti al rilascio di sostanze infiammatorie da parte delle cellule tumorali e da eventuali sintomi secondari a compressione/ostruzione di strutture nervose o vascolari.
Tuttavia bisogna sfatare un mito, la maggior parte delle persone con linfoma (anche aggressivo) non ha sintomi di questo tipo!
Però è facile osservare se una ghiandola (linfonodo) sul collo o a livello dell’ascella o dell’inguine si ingrossa, oppure possono comparire dei disturbi legati al fatto che dei linfonodi nascosti (profondi) producono qualche squilibrio a livello toracico (tosse persistente, mancanza di fiato) o addominale (notevole gonfiore, stitichezza importante, gambe molto gonfie)
Il linfoma di Burkitt si presenta caratteristicamente con interessamento mandibolare nella sua forma endemica africana e con la presenza di masse a rapida crescita inglobanti o infiltranti i visceri addominali e pelvici nella forma sporadica. Nelle femmine in età post-puberale è abbastanza frequente un’infiltrazione delle mammelle. Comuni sono anche il coinvolgimento del Sistema Nervoso Centrale (SNC)e l’interessamento midollare con leucemizzazione periferica (cosiddetto linfoma/leucemia a precursori linfoidi B tipo L3). Anche i casi di linfoma linfoblastico possono frequentemente presentarsi, all’esordio o durante il decorso della malattia, con localizzazioni al SNC.

  Come viene fatta la diagnosi?
Solo l’asportazione di un intero linfonodo ammalato (biopsia escissionale) o di una sua grossa parte (biopsia incisionale) rappresenta una metodica diagnostica adeguata.
In alcuni casi il linfoma può essere un po’ più subdolo e non dare grosse tumefazioni linfonodali, ma magari un interessamento di altri organi (fegato, polmone, etc…).
In effetti il sangue è liquido e i linfociti (sia quelli sani sia quelli malati) vanno un po’ dove vogliono. Anche in questi casi, tuttavia, la biopsia di un’ampia parte del tessuto ammalato è la miglior garanzia di una corretta diagnosi.
Il tessuto ammalato viene infatti analizzato dagli specialisti di Anatomia Patologica che, dopo averlo opportunamente “trattato”, sezionato e “colorato”, lo studiano approfonditamente al microscopio.
La diagnosi ci dirà se c’è il linfoma, se è aggressivo e di che sottotipo è: a diversa diagnosi, diversa terapia!

  Ma prima di inziare una terapia bisogna fare bene la fotografia della situazione: la stadiazione
Quanto è esteso il linfoma? Coinvolge solo i linfonodi o anche altri organi? Questa domanda è imprescindibile perché, come è intuitivo, tendenzialmente diciamo che quanto più un linfoma è esteso, tanto più trattamento deve ricevere.I passi da compiere sono ben codificati, tutti i pazienti devono infatti effettuare:

  • Esami del sangue: emocromo, funzionalità del rene e del fegato, alcuni “indici” come LDH e beta-2-microglobulina
  • TAC (tomografia assiale computerizzato) di collo, torace e addome con il mezzo di contrasto iodato: è un esame radiologico che permette di valutare gli organi interni in modo più preciso soprattutto dal punto di vista morfologico (ci sono anomalie? I linfonodi ammalati che dimensioni hanno?)
  • PET (Positron Emission Tomography): consiste nella somministrazione endovenosa di una piccola quantità di uno zucchero radioattivo che si accumula dove c’è il tessuto ammalato. Dopo circa 1 ora dall’iniezione vengono acquisite una serie di immagini, della durata complessiva di circa 30 minuti, usando un’apparecchiatura chiamata “tomografo PET-TC” che rileva le radiazioni emesse dal corpo ed evidenzia gli accumuli nelle zone in cui il linfoma è presente, anche se non formano grosse masse
  • Valutazione midollare: la biopsia ossea permette lo studio del midollo osseo, ci aiuta a rispondere alla domanda se sia ammalata o no la “fabbrica del sangue”. E’ un esame un po’ invasivo e richiede una anstesia locale (una puntura a livello dell’osso del bacino), ma in ogni caso eseguibile in ambulatorio

Questi esami non rappresentano una perdita di tempo! Quanto meglio viene fatta la fotografia del linfoma all’inizio, con maggior sicurezza al termine del percorso di cure il vostro ematologo potrà dirvi come ha risposto il linfoma.Infatti, tutti gli esami che sono alterati prima delle cure devono sempre essere rifatti al termine. Anzi, potrà essere richiesto qualche esame aggiuntivo (ecocardiogramma, TC encefalo, etc…) per specifiche situazioni.
Basandosi sui risultati degli esami elencati, lo stadio della malattia può essere definito secondo il sistema di staging di Ann Arbor in 4 stadi: dallo stadio I, localizzato, agli stadi II, III e IV via via più disseminati. Accanto alla definizione degli stadi è prevista l’indicazione della presenza di segni sistemici (febbre e/o sudorazione notturna e/o calo di peso) indicando con ‘B’ i casi in cui sono presenti e con ‘A’ quelli in cui sono assenti.

  Cos’è la prognosi?
Il principale score prognostico storicamente impiegato nei Linfomi aggressivi è l’International Prognostic Index (IPI), che considera come variabili indipendenti di rischio 5 fattori: età >60 anni, PS ≥2 (ECOG-WHO), stadio III o IV sec. Ann Arbor, coinvolgimento di ≥2 sedi extranodali, aumento della LDH sierica La presenza di 0-1 fattori di rischio determina una prognosi favorevole, con sopravvivenza stimata a 5 anni pari al 73%, mentre all’estremo opposto la presenza di 4-5 fattori di rischio conferisce una prognosi infausta con una sopravvivenza a 5 anni pari al 26%.
Dal momento che l’età costituisce una variabile prognostica rilevante che condiziona la possibilità di trattare i pazienti con regimi più intensivi, è stata sviluppata una variante “IPI age-adjusted” per i pazienti di età pari o inferiore a 60 anni.

  Come si tratta il Linfoma non Hodgkin B diffuso a grandi cellule?
Questa è davvero una domanda complessa, ma non perché non ci sia risposta.
Al contrario, i continui progressi delle tecniche diagnostiche permettono di definire molti sottogruppi di questo linfoma con risvolti terapeutici estremamente diversificati.Il primo e più forte consiglio è pertanto quello di rivolgervi a un Centro con un’ampia esperienza nel trattamento dei linfomi aggressivi
In linea generale, tuttavia, il linfoma non Hodgkin B diffuso a grandi cellule necessita di un trattamento immunochemioterapico.
La chemioterapia “standard” per questo linfoma è nota con la sigla CHOP e comprende un cocktail di farmaci (noto da decenni) efficaci contro le cellule ammalate. Questo cocktail viene somministrato per via endovenosa ogni 3 settimane, ma il numero di cicli dipende da quanto è estesa la malattia (al massimo comunque sono 6-8 cicli).
A questo ciclo di chemioterapia viene da molti anni associata la immunoterapia (R-CHOP) costituita da un farmaco che é un anticorpo monoclonale (ad oggi il più diffuso è il Rituximab) mirato contro le cellule ammalate. Non può essere usato da solo (funziona poco nel linfoma aggressivo), ma associato alla chemioterapia ha aumentato moltissimo le probabilità di guarigione.
Nel caso di presentazione “bulky“(ossia con masse linfonodali >10 cm) il trattamento di scelta è rappresentato da 6-8 cicli chemioterapici R-CHOP associati a radioterapia di consolidamento (30-36 Gy “involved-field”) sulle masse linfonodali.
Il percorso terapeutico può non essere semplice per la presenza di “effetti collaterali” che spaventano molti. E gli effetti collaterali sono: stanchezza, caduta dei capelli, abbassamento delle difese e a volte febbre, nausea, etc etc… ma più che l’elenco, vale ancora il consiglio di affidarsi a un Centro che abbia un’ampia esperienza e di instaurare un rapporto di fiducia con il team di ematologi di riferimento. Bisogna ritornare a una cosa antica: l’alleanza terapeutica tra medico e paziente.
La terapia ad alte dosi (HDS) schema R-ICE /R-DHAP (2-4 cicli) e il trapianto di cellule staminali autologhe (ASCT) rappresenta il trattamento standard dei pazienti giovani ricaduti o refrattari alla terapia di prima linea. In generale, i pazienti che ottengono una seconda remissione del linfoma prima del trapianto hanno una sopravvivenza superiore rispetto ai pazienti che rispondono poco alla chemioterapia pre-trapianto. 
I pazienti giovani ricaduti o non responsivi a chemioterapia o recidivati dopo trapianto autologo possono, in casi selezionati, essere avviati al trapianto allogenico di cellule staminali .
Sono inoltre in fase di studio nuovi farmaci biologici, con risultati per alcuni di essi incoraggianti.

Linfoma di Burkitt.
A causa dell’elevata cinetica e della frequente presenza di localizzazioni extranodali (testicolare, SNC) il linfoma di Burkitt non risponde agli schemi di chemioterapia convenzionali L’utilizzo di protocolli di chemioterapia intensificata con farmaci ad alte dosi associato alla profilassi delle localizzazioni al SNC, tuttavia, determina in questo tipo di linfoma alte percentuali di guarigione.
Vari schemi vengono utilizzati : CODOX-M (ciclofosfamide, vincristina, doxorubicina, methotrexate ad alte dosi), IVAC (ifosfamide, etoposide, alte dosi di citarabina), e in particolare HyperCVAD, che ottiene alte percentuali di risposte complete (>80%).

Linfomi T cutanei.
I pazienti con linfomi T limitati alla cute (micosi fungoide, linfoma anaplastico a grandi cellule CD30+ cutaneo) hanno in genere decorso indolente e lunga sopravvivenza pur con tendenza alla recidiva. Il trattamento è in genere locale, di tipo chirurgico in caso di lesioni singole. Nei pazienti con lesioni multiple (ad es. micosi fungoide) è stata impiegata con successo la fotochemioterapia con psoraleni (PUVA Nei pazienti con malattia avanzata e coinvolgimento sistemico è necessario ricorrere alla polichemioterapia.

Linfomi T sistemici.
Gli studi sul trattamento dei linfomi T sono nella maggior parte dei casi retrospettivi, vista la loro rarità, e comprendono in genere pazienti con forme istologiche diverse tra loro. Le indicazioni sul trattamento che derivano da questi studi si riferiscono quindi alle forme più frequenti, ossia il linfoma T periferico NAS e il linfoma T angioimmunoblastico consiste nella somministrazione di 6 cicli CHOEP ogni 21 giorni seguito da consolidamento con ASCT.
Nel tentativo di migliorare i tassi di RC dei pazienti con NHL T aggressivo, come preparazione al trapianto o in pazienti non candidabili ad esso, sono tuttora in studio nuovi farmaci.

E’ utile aderire a protocolli sperimentali?
I protocolli sperimentali rappresentano spesso una vera opportunità, che ha al centro l’interesse del paziente. Appartengono a 2 tipi principali: protocolli in cui è proposto l’impiego di un farmaco “nuovo”, che si è già visto efficace in situazioni simili e potrebbe migliorare le percentuali di risposte e guarigione, ma non ancora presente in commercio o in Italia; ovviamente questa può essere una grande opportunità per i pazienti. Oppure protocolli che non propongono farmaci nuovi, ma provano a ridurre la tossicità di alcuni trattamenti (ad esempio omettendo la radioterapia in alcune situazioni cliniche definite) in un ambito protetto (ad esempio con la revisione delle immagini TC e PET oppure la valutazione del midollo centralizzati a livello nazionale).

Cosa avviene al termine delle cure? Il follow-up.
Quando le cure danno un buon risultato (e spesso accade!) la TC, ma soprattutto la PET tornano normali! Allora inizia un periodo di controlli, in cui il tempo gioca a nostro favore.
Inizialmente i controlli sono frequenti, anche ogni 3-4 mesi, e comprendono spesso l’impiego della TC e sempre gli esami del sangue e la visita medica.
Poi, passati 1-2 anni dal termine delle cure, il rischio di un ritorno della malattia è molto basso. Allora non è più indicato eseguire esami radiologici invasivi (come la TC), ma è utile un programma dettagliato di esami mirati a verificare che non vi siano danni tardivi derivati dai trattamenti effettuati, ad esempio con l’ecocardiogramma ogni 1-2 anni o con la valutazione senologica nelle donne sottoposte a radioterapia.
Alcuni centri eseguono direttamente questo follow-up, altri invece dimettono il paziente guarito e danno istruzioni dettagliate al Medico di Medicina generale sugli esami da eseguire negli anni, restituendo l’ex paziente a una vita… normale!

Come riconoscere recidiva linfoma?

La recidiva necessita di essere confermata da esami strumentali quali TAC e PET, e, dove possibile, da un nuovo esame istologico che confermi la diagnosi iniziale oppure evidenzi la trasformazione del linfoma in una forma più aggressiva.

Quando il linfoma non Hodgkin non risponde alla chemioterapia?

Se la malattia non risponde al trattamento o se si ripresenta dopo la terapia iniziale, è possibile ricorrere al trapianto di cellule staminali autologo o allogenico.

Come si curano le recidive?

La recidiva a distanza può essere curata solo mediante chemioterapia. In aggiunta, qualche metastasi potrà essere rimossa chirurgicamente. Alcuni farmaci sperimentali possono essere utilizzati in questi casi, nell'ambito di studi clinici. Chieda al Suo medico consiglio a riguardo.

Quanto tempo ci vuole per guarire dal linfoma di Hodgkin?

Dopo aver ottenuto una risposta completa si inizia un programma di controlli clinici per monitorare il perdurare della risposta. Il rischio di recidiva si va riducendosi negli anni successivi ed il paziente viene considerato guarito dopo 5 anni di continua remissione completa della malattia.