Didattica speciale e inclusione scolastica cottini usato

Scarica Riassunto del libro "Didattica speciale e inclusione scolastica" di Lucio Cottini e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! INTRODUZIONE INCLUSIONE SCOLASTICA: UN INQUADRAMENTO L’idea che una scuola di qualità debba porre al centro della propria attenzione le esigenze diversificate di tutti gli allievi, nel rispetto del principio di pari opportunità e di partecipazione attiva di ognuno, si è andata a sviluppare in maniera sempre più decisa a partire dagli anni ’90 del secolo scorso. L’inclusive Education è un modello teorico che nasce e si sviluppa in ambito di istruzione ed educazione, supportato da importanti organismi internazionali come l’UNESCO. L’intenzione è stata quella di rispondere alla diversità dei bisogni dei singoli studenti con dei sistemi scolastici capace di accogliere tutti e di articolarsi in maniera flessibile in relazione alle esigenze di ciascuno. Si parla dunque di un sistema educativo che cerca di intercettare le differenze e le specificità di ognuno. Conferenza di Salamanca (UNESCO) nel 1994  si è affermato l’impegno a favore dell’educazione per tutti,consapevoli che sia necessario ed urgente garantire l’educazione, nel sistema educativo normale, dei bambini, dei giovani e degli adulti che presentano bisogni educativi speciali. Carta di Lussemburgo 1996  L’Unione Europea riconosceva che la “scuola per tutti e per ciascuno” deve garantire un insegnamento di qualità e offrire un’accessibilità uguale a ogni studente lungo tutto il percorso formativo. Convenzione sui diritti delle persone disabili (Nazioni Unite, 2006) ha evidenziato l’importanza cruciale della dimensione inclusiva del sistema scolastico. . Viene sottolineato il diritto all’istruzione delle persone con disabilità senza discriminazioni e su base di pari opportunità dev’essere garantito un sistema di istruzione inclusivo a tutti i livelli. Nelle linee guida sull’educazione inclusiva del 2009, l’UNESCO sottolinea che la scuola inclusiva è un processo di fortificazione della capacità del sistema di istruzione di raggiungere tutti gli studenti. Parlando del modello dell’Inclusive Education, un ruolo significativo è stato ricoperto dall’European Agency fo Special Needs and Inclusive Education, un’organizzazione indipendente sostenuta dall’Unione Europea e dai ministri dell’Istruzione dei paesi membri. Nei Principi guida proposti da tale organizzazione si sottolinea che “la scuola inclusiva richiede sistemi di istruzione flessibili in risposta alle diverse e spesso complesse esigenze dei singoli alunni” perché l’Inclusve Education interessa un raggio sempre più ampio di studenti e non soltanto quelli in situazione di disabilità. In Italia l’orientamento inclusivo si inserisce in una storia d’integrazione scolastica lunga quarant’anni che ha indirizzato i propri sforzi al tentativo di evitare qualsiasi forma di discriminazione per gli allievi con disabilità, assicurando loro le stesse opportunità dei compagni, almeno relativamente alla frequenza di contesti comuni. Questo orientamento si è andato a sviluppare mantenendo in molte situazioni una debolezza di fondo: quella di puntare in larga misura sull’adattamento dell’allievo con disabilità a un’organizzazione scolastica strutturata in funzione degli alunni tipici e poco disponibile a modificarsi per accogliere tutti. Il problema, è stato interpretato come principalmente riferito all’individuo, alle sue carenze e alle sue particolarità, senza porre la necessaria attenzione all’organizzazione dell’ambiente e della didattica. Liscioli parla di un sistema ancora “ibrido” con ampliamento dell’attenzione anche ad altre esigenze oltre a quelle degli allievi con disabilità, ma attraverso un orientamento che fatica a uscire da una visione individuale del problema e a organizzare e attivare tutte le risorse ordinarie presenti nel contesto scolastico. Tale prospettiva porta a considerare la diversità di ognuno come una condizione di base. Non si tratta di includere gli allievi nella classe ma rendere inclusivi i contesti, i metodi e gli atteggiamenti per tutti. Il concetto di inclusione, articolato in questi termini, pone nuove sfide alla progettazione curricolare. Si tratta dunque di concepire fin dall’inizio, una progettualità rivolta a tutti , tenendo conto delle differenze e orientandosi a promuovere per ciascuno le migliori opportunità per una crescita personale. Mitchell definisce l’inclusione come un concetto poliedrico, che, per potersi concretamente sviluppare nella realtà delle scuole, richiede una partecipazione coordinata di tutti gli attori, adattamenti metodologici e adeguate risorse e supporti. Parlare di educazione inclusiva , quindi significa fare i conti con le differenze: in che modo affrontarle nella scuola, in classe e nelle programmazioni. Il dibattito attuale deve concentrarsi sulle modalità per promuovere l’inclusione. I PIANI DELL’INCLUSIONE Cottini , affrontando il tema del ruolo e dell’importanza della figura dell’insegnante specializzato per il sostegno nelle scuole dell’inclusione, ha proposto,una schematizzazione attraverso la quale orientare la riflessione sulla dimensione inclusiva. Ha individuato 4 piani principali, complementari e interagenti tra loro. Piani  dell’affermazione dei principi di riferimento, dell’organizzazione del contesto e delle procedure ai fini inclusivi, delle metodologie da mettere in campo per promuovere l’inclusione, della verifica circa la significatività operativa di tali metodologie e dell’efficacia reale si una scuola inclusiva. 1) PIANO DEI PRINCIPI Sul piano dei principini basa sull’orientamento del diritto di tutti gli individui , qualunque sia la oro condizione, ad avere accesso all’istruzione all’interno di contesti comuni, non separati. L’allievo con difficoltà non deve essere percepito come “ospite” ma come parte integrante della stessa. Dietro a questo concetto vi è il modello sociale della disabilità che sottolinea la responsabilità del contesto nel creare le condizioni di disabilità o comunque gli ostacoli all’apprendimento e alla partecipazione degli allievi. Il diritto di ognuno a fruire di una dimensione realmente inclusiva non dipende dalle risorse disponibili, quanto all’affermazione, che deve diventare sempre più consapevolezza radicata, che per tutti gli individui devono essere previste le medesime opportunità. Il concetto di inclusione si appella al fondamento teorico assoluto che vede ogni individuo come entità costitutiva dell’istruzione sociale, che trova nella piena valorizzazione di tutti la sua stessa ragione di essere. Particolarmente significativa, in riferimento alle persone in situazione di disabilità , è la Convenzione sui diritti delle persone disabili (United Nations, 2006) la quale, all’art. 24. impegna gli Stati a promuovere sistemi educativi inclusivi per tutti. La ratifica della convenzione da parte dell’Italia (legge 3 marzo 2009) obbliga il nostro paese a legiferare nel rispetto dei principi espressi dalla stessa per documentarne la concreta applicazione, dispone che venga presentato un rapporto dettagliato. La convenzione è fortemente ispirata al modello sociale della disabilità, il quale tende a ricondurre le condizione di disabilità all’esistenza di barriere di varia natura che possono essere di ostacolo a quanto hanno dimostrato il diritto di partecipare in Ci si riferisce a tutte le strategie rivolte a insegnare come si apprende basandosi sul potenziamento delle funzioni cognitive e sulla consapevolezza dell’allievo. In questa ottica, sono da includere procedure come l’autoregolazione (con riferimento all’autoistruzione e all’automonitoraggio), le strategie di memorizzazione, l’insegnamento reciproco, la didattica meta- cognitiva, l’educazione delle funzioni esecutive). - EDUCAZIONE SOCIOEMOZIONALE E PROSOCIALE Le competenze socio emotive e prosociali sono fondamentali perché promuovono il benessere individuale e quello della comunità di riferimento. Promuovere negli alunni la capacità di conoscere e controllare le proprie emozioni, saper gestire le relazioni interpersonali, leggere i bisogni degli altri e mettere in atto condotte di aiuto è alla base della possibilità di dare inizio a una reciprocità positiva e solidale nelle relazioni interpersonali, salvaguardando l’identità, la creatività e l’iniziativa delle persone o dei gruppi coinvolti.  condizioni fondamentali per lo sviluppo di didattiche realmente inclusive. - STRATEGIE SPECIFICHE DI INTERVENTO RIVOLTE AI BISOGNI SPECIALI. L’esigenza di creare contesti inclusivi non deve portare a sottovalutare i bisogni specifici che alcuni individui presentano e far pensare che non debbano essere messi in campo anche didattiche rivolte direttamente alla persona.  Questa affermazione sottolinea l’esigenza di individualizzazione, ricercata pure in contesti collettivi, in piccolo gruppo, nel lavoro di coppia ecc… Perché questo possa avvenire sono richieste competenze inclusive in tutti gli insegnanti..Si fa riferimento alla conoscenza delle diverse situazioni di disabilità , al processo di strategie didattiche per favorire apprendimenti funzionali anche in allievi con gravi compromissioni, alle metodologie di facilitazione della comunicazione, alle procedure per contenere i problemi comportamentali. 4) PIANO DELL’EVIDENZA EMPIRICA E’ necessario appurare, attraverso la ricerca, se le procedure organizzative e le strategie didattiche adottate per promuovere il successo formativo di ogni allievo nel contesto scolastico, in una prospettiva realmente inclusiva, risultano efficaci, se hanno prodotto, cioè delle evidenze in grado di avvalorarle. Il lungo cammino che si sta conducendo verso un modello di scuola sempre più in grado di accogliere tutti gli allievi, è stato stimolato e supportato da specifiche disposizioni normative nazionali e da pronunce e dichiarazioni di prestigiosi organismi internazionali. L’evoluzione normativa ha contribuito alla produzione di politiche e prassi orientate all’inclusione e all’affermasi di principi di accettazione e considerazione maggiormente positiva della diversità in tutte le sue forme. Di seguito verranno presentate alcune tappe fondamentali che riguardano la promozione di una politica di integrazione scolastica per gli allievi in situazione di disabilità e la svolta inclusiva e le evoluzioni normative recenti legate alla legge 107/2015. La scelta italiana per l’integrazione totale: Il periodo dell’istituzione separata L’inserimento scolastico del bambino in situazione di disabilità è stato caratterizzato, fino alla fine degli anni ’60, da un approccio prevalentemente medico, i una situazione di diffusa emarginazione. Erano stati emanati provvedimenti legislativi e circolari ministeriali che non prevedevano la frequenza nella scuola comune per gli alunni con disabilità. La convinzione comune era che l’allievo in situazione di disabilità potesse essere aiutato con la massima incisività quando si trovava inserito in gruppi di coetanei con deficit simili. A tale orientamento possiamo citare la legge sulla scuola media unica (legge 31 dicembre 1962 n. 1859) che prevedeva l’istituzione di classi d’aggiornamento e differenziali e quella successiva sulla scuola materna statale (legge 18 marzo 1968, n. 444) che nell’art. 3 recitava “ per i bambini dai 3 ai 6 ani affetti da disturbi dell’intelligenza [….]lo Stato istituisce sezioni speciali. A seconda della tipologia e della gravità del deficit gli allievi venivano avviati alla scuola speciale o alle classi differenziali. La costruzione di strutture speciali parallele a quelle comuni ha giustificato e stimolato un intervento di tipo tecnico- sanitario sul deficit organico, senza la necessaria considerazione pedagogica per l’allievo in quanto persona. Le prime esperienze di inserimento. Fu constatato di quanto fossero limitanti i risultati ottenuti con l’inserimento in classi differenziali e in classi speciali e alla fine degli anni ’60 l’opposizione riguardava anche la questione della selettività e dell’emarginazione. Tutto questo ha portato alla crisi delle istituzioni separate e hanno autorizzato le prime esperienze di inserimento degli allievi in situazione di disabilità nelle scuole comuni. A livello normativo possiamo citare la legge 30 marzo 1971, n.118,che, all’art. 18, riconosceva agli allievi in situazione di disabilità il diritto all’educazione in classe comune, escludendo però i soggetti affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire e/o rendere difficoltoso l’apprendimento e l’inserimento nelle classi normali. Nel 1975 gli specialisti hanno cominciato a rifiutarsi di attestare la gravità della disabilità nella scuola comune e tale commissione elaborò un documento nel quale veniva ribadito il principio che il superamento di qualsiasi forma di emarginazione passa attraverso n nuovo di concepire e attuare la scuola, così da poter veramente accogliere ogni bambino/adolescente per favorirne lo sviluppo personale. Il documento Falcucci era accompagnato dalla C.M. 8 agosto 1975, n.227, la quale proponeva l’inserimento graduale di alunni problematici nella scuola comune come sperimentazione didattica, mettendo in risalto la complessità dei problemi di natura strutturale e organizzativa, da risolvere per conseguire i risultati apprezzabili nell’azione volta all’integrazione scolastica e sociale dei suddetti alunni. Il cammino dall’inserimento all’integrazione. Nel 1977, con la legge n.517, si delineò un quadro normativo preciso relativamente all’inserimento degli allievi in situazione di disabilità nella scuola comune. Tale legge ha rappresentato un momento di svolta della scuola italiana, sia perché ha reso obbligatoria la presenza di alunni in situazione di disabilità nella scuola comune con la conseguente abolizione delle classi differenziali e delle scuole speciali, sia perchè offriva notevolissime possibilità per favorire un passaggio dal semplice inserimento all’integrazione. L’art. 2 e l’art.,7 autorizzavano la programmazione di attività integrative organizzate per gruppi di alunni della stessa classe o di classi diverse allo scopo di realizzare interventi individualizzati in relazione alle esigenze dei singoli alunni e prevedeva la presenza di insegnanti specializzati. Dopo il 1977 una sere di leggi e circolari del ministero della Pubblica istruzione hanno permesso di colmare alcune lacune al fine di rendere effettivo il processo integrativo. La C.M, 21 luglio 1978, n. 169, sulla programmazione educativa; la C.M. 28 luglio 1979, n. 199, che individuava nella collaborazione fra scuole e servizi assistenziali e sanitari del territorio le condizioni necessarie per la piena realizzazione del processo di integrazione; la legge 20 maggio 1982, n.270, e la C.M. 3 settembre 1985, n. 250 che ribadivano la necessità di interventi coordinati da parte della scuola e degli enti locali; la C.M. 4 gennaio 1988, n.1, che dettava norme per favorire il naturale passaggio dell’allievo in situazione di disabilità da un ordine di scuola a un altro. Gli anni ’80 si sono chiusi con un’importante sentenza della Corte costituzionale, la n. 215 del 1989, che ha dato libero accesso alle scuole media superiore a tutti i disabili, dichiarando illegittima la parte dell’art. 28 della legge 118/1971, la quale sosteneva necessario “facilitare” ma non “assicurare” la loro frequenza. La C.M. 22 settembre 1988, n.262, che rendeva possibile l’iscrizione e la frequenza della scuola secondaria di secondo grado a tutti gli allievi in situazione di disabilità(fisica, psichica, sensoriale ecc..) La legge quadro su8lla disabilità La legger quadro 104/1992 per l’assistenza, l’integrazione e i diritti delle persone con disabilità ha rappresentato un’ulteriore tappa nell’evoluzione della normativa in materia di diritto allo studio degli allievi in situazione di disabilità. Viene messo in risalto come una vera integrazione possa realizzarsi solo ponendo in primo piano non soltanto i bisogni particolari della persona con disabilità, ma anche i suoi desideri, le sue risorse e le potenzialità nell’ambio dell’apprendimento della comunicazione e delle relazioni. Un ruolo sempre più attivo veniva attribuito alle famiglie, nella formulazione del Profilo dinamico-funzionale (PDF) che nel Piano educativo individualizzato (PEI). In particolare la legge, al fine di assicurare la piena collaborazione tra scuola e enti territoriali, ha introdotto esplicitamente il principio della programmazione e coordinata tra i servizi scolastici, quelli sanitari, quelli socio assistenziali, culturali, ricreativi e sportivi. Le disposizioni applicative alle legge quadro. All’emanazione della legge quadro è seguita una serie di decreti finalizzati a specificare in maniera più puntuale gli strumenti dell’integrazione. - Il decreto interministeriale 9 luglio 1992, che fissa i criteri per la stipula degli “accordi di programma” da sottoscrivere fra le istituzioni scolastiche, le amministrazioni comunali e provinciali e le Aziende sanitarie locali (ASL). L’integrazione scolastica non è più un compito affidato solo alla scuola, ma a tutta la comunità locale che ha il dovere di mettere a disposizione tutte le proprie risorse. - Ogni Stato ha il dovere di adottare una legislazione in grado di garantire a tutti gli scolari/adulti il diritto di accedere ad un sistema scolastico ordinario. Viene ribadito: il ruolo significativo che in questo processo rivestono i genitori, la centralità dell’intervento avviato precocemente, le facilitazioni offerte dalle tecnologie che permettono di essere utilizzate in tutti i livelli scolastici e che soprattutto risultino essere accessibili a tutti. - Le strategie = riguardano la qualità dell’insegnamento che deve mirare a un rapporto educativo globale, positivo, stabilito sulla base delle capacità delle persone, soprattutto nei BES. - Le proposte che riguardano le prospettive e i cambiamenti da attuare in futuro , soprattutto l’idea di sviluppare una mentalità sempre di più inclusiva. Nel 2006 le Nazioni Unite hanno emanato la Convenzione sui diritti delle persone disabili, che rappresenta una fortificazione del concetto di inclusione. E’ organizzata in 50 articoli, la convenzione vuole promuovere e garantire alle persone con disabilità il pieno godimento dei diritti in ogni ambito della vita: nella salute, nell’istruzione, nel lavoro, nella società e nella politica. E’ evidente il riferimento al modello sociale della disabilità che porta a far risaltare come il contesto sia spesso organizzato in maniera tale da creare ostacoli, barriere e discriminazioni. Questa innovativa prospettiva è centrata non soltanto sull’individuo con i suoi deficit, ma anche sull’interazione tra la persona e il suo ambiente di vita, si fonda anche sull’ICF (OMS, 1999), che vede la disabilità come il frutto di una complessa interazione di condizioni, molte delle quali create da contesto nel quale le persone interagiscono. Nella convenzione vengono affrontati vari temi in specifici articoli, come quelli centrali ai nostri fini dell’educazione, del lavoro, della salute, della partecipazione alla vita culturale e ricreativa, agli svaghi e allo sport. All’adozione formale della Convenzione sui diritti delle persone con disabilità da parte delle Nazioni Unite fece seguito la fase delle ratifiche nazionali. Con la legge 18/2009 anche l’Italia ha validato la convenzione, istituendo anche l’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità presso il ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali. Un ulteriore significativo contributo viene dall’UNESCO con l’emanazione delle Linee guida sull’educazione inclusiva (UNESCO,2009). In esse viene esplicitato a che la scuola inclusiva è un processo di fortificazione delle capacità del sistema di istruzione di raggiungere tutti gli studenti. L’inclusione è vista come un processo in grado di dare risposta alla diversità delle esigenze di tutti gli allievi, attraverso l’incremento delle possibilità di partecipazione all’apprendimento, alle culture e alle iniziative comunitarie. Per concludere, vanno segnalare alcune iniziative dell’Unione Europea per promuovere una scuola sempre più inclusiva. Fra queste è significativa la creazione dell’European Agency for Development in Special Needs Education. A tale agenzia si debbono vari studi e pubblicazioni in particolare al documento sui Principi guida per promuovere la qualità nella scuola inclusiva del 2009, nel quale si sottolinea che la scuola inclusiva richiede sistemi di istruzione flessibili in risposta alle diverse e complesse esigenze dei singoli alunni. Nel documento vengono espresse le seguenti raccomandazioni: - ampliare l’accesso all’istruzione e favorire la piena partecipazione e le opportunità educativa di tutti gli studenti al fine di realizzare il loro potenziale; - potenziare la formazione di tutti i docenti; - mettere in campo azioni per promuovere una cultura condivisa e atteggiamenti positivi verso l’accoglienza delle diversità - organizzare adeguatamente la rete di sostegno, denominata “struttura di sostegno”avere una legislazione che ponga sempre l’inclusione come meta da raggiungere - considerare l’educazione inclusiva come un bene per tutti - fare riferimento a professionisti altamente qualificati , da formare attraverso specifici percorsi che pongano l’inclusione al centro Con la legge quadro 104/1992 il processo integrativo finisce per risultare parziale, in quanto non modifica in maniera sensibile i principi e le regole di funzionamento dell’istituzione accogliente e finisce per non considerare sufficientemente tutte le diversità che caratterizzano la vita della classe. Con la legge 170/210 sui DA si è intervenuto sulla questione, con l’obiettivo di dare visibilità a una popolazione scolastica in difficoltà di apprendimento e a rischio di insuccesso formativo. Nello specifico , la legge 170/2010, oltre a dare una definizione con valore legislativo dei DSA e a delineare le modalità per il riconoscimento di queste condizioni, cerca di impostare una riflessione sulla didattica da mettere in campo per creare le condizioni di un efficace ed efficiente apprendimento nell’allievo. Viene esplicitato che gli studenti con DSA hanno diritto a fruire di appositivi provvedimenti DISPENSATIVI e COMPENSATIVI di una didattica individualizzata e personalizzata, che tenga conto delle peculiarità degli allievi e di adeguate forme di verifica e di valutazione. Con le Linee guida per il diritto allo studio degli alunni e degli studenti con DSA vengono presentati alcuni percorsi operativi per sviluppare una didattica inclusiva, in grado di connettere in un piano di lavoro coerente anche gli strumenti compensativi e le misure dispensative. Il documento specifica come per strumenti compensativi debbano intendersi dei dispositivi didattici e tecnologici in grado di sostituire o facilitare la prestazione richiesta nell’abilità deficitaria. LE misure dispensative sono interventi che consentono all’allievo con DSA di non svolgere alcune prestazioni che , a causa del disturbo, risultano particolarmente difficoltose e che non migliorano l’apprendimento. Le attività di recupero individualizzato, le modalità didattiche personalizzate, nonché gli strumenti compensativi e le misure dispensative dovranno essere esplicitate e formalizzate all’interno del Piano didattico personalizzato (PDP), al fine di assicurare uno strumento utile alla continuità didattica e alla condivisione con la famiglia delle iniziative intraprese. Il fatto che con la certificazione DSA non sia prevista la presenza di un insegnante di sostegno enfatizza l’esigenza che tutti gli insegnanti conoscano tale tematica. E’ importante affrontare anche il tema dei BES. Una direttiva e una circolare del MIUR (2012-2013) proseguono sulla strada della legge 170/2010, cercando di dare visibilità e adeguato riconoscimento di diritti a una vasta gamma di differenze e diversità. Nell’area dei BES vengono comprese due ampie condizioni di difficoltà scolastiche conseguenti a cause diverse: i disturbi evolutivi specifici (DSA , deficit del linguaggio, di coordinazione motoria, disfunzioni non verbali, ADHD e lo svantaggio socioculturale e linguistico. La categoria BES tende a individuare un numero consistente di allievi che hanno necessità e conseguentemente diritto a forme di individualizzazione e personalizzazione nella scuola. La richiesta alla scuola è quella di elaborare un apposito Piano annuale per l’inclusività (PAI), da inserire nel POF (ora PTOF) che espliciti l’effettivo impegno programmatico dell’istruzione verso una prospettiva di educazione realmente inclusiva. La legge 107/2015 e l’inclusione I principi e le finalità che il D.Lgs 66/2017 esprime nell’art.1 sono di grande rilevanza e rappresentano l’effettivo sviluppo della prospettiva inclusiva. Nell’articolo 1 si afferma che l’inclusione scolastica si realizza attraverso strategie educativa e didattiche finalizzate allo sviluppo delle potenzialità di ciascuno, nel rispetto del diritto all’autodeterminazione e all’accomodamento ragionevole, nella prospettiva della migliore qualità di vita. Si sostiene che l’inclusione si realizza nella definizione e condivisione del Progetto individuale fra le scuole, famiglie e altri soggetti, pubblici e privati operanti sul territorio. Molto positiva appare l’introduzione dell’ICF come paradigma per costruire il Profilo di funzionamento dell’alunno, che andrà a sostituire la DF e il PDF. Si prevede poi che questo profilo venga redatto non solo dalla componente clinica ma in collaborazione con i genitori e un rappresentate della scuola. Anche nel PEI viene ribadita con forza la partecipazione della famiglia. Si tratta di una modifica significativa e dalle prospettive molto incoraggianti, perché l’ICF si fonda su un’antropologia biopsicosociale, nella quale la qualità della vita della persona risulta dall’interazione di sistemi complessi che agiscono in maniera integrata e on separabile. Per quanto concerne il livello organizzativo si prevede l’attivazione di Gruppi per l’inclusione scolastica a livello regionale (GLIR), territoriale (GIT) e di singola scuola (GLI).L’aspetto più delicato riguarda le procedure per l’assunzione delle decisioni relative alla quantificazione e all’attribuzione delle risorse necessarie per ciascuna scuola, che sembra localizzata nel GIT, anche se poi è l’Ufficio scolastico regionale (USR) che le assegna. Si prevede infatti che il dirigente scolastico proponga al GIT la quantificazione dell’organico relativo ai posti di sostegno, diviso per ciascun grado d’istruzione; il GIT, in qualità di organo tecnico, sulla base del Piano per l’inclusione, dei Profili di funzionamento, dei PEI , dei Progetti individuali trasmessi dai singoli dirigenti scolastici, verifica la quantificazione delle risorse di sostegno didattico effettuata da ciascuna scuola e formula una proposta all’URS, il quale provvede ad assegnarle nell’ambito di quelle dell’organico dell’autonomia per i posti di sostegno. E’ molto importante segnalare anche il ruolo che ricoprono le famigli , il relazione delle funzioni dell’Osservatorio permanente per l’inclusione scolastica, i compiti assegnati al personale Amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA). Il D. Lgs 66/2017 prevede la valutazione della qualità dell’inclusione scolastica come parte integrante e significativa del procedimento di valutazione delle istituzioni scolastiche. Questa funzione viene delegata all’Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione (INVALSI), sentito l’Osservatorio permanente per l’inclusone scolastica, , per quanto riguarda la definizione degli indicatori e la predisposizione dei protocolli di valutazione. Il D. Lgs. 66/2017 prevede poi una serie di norme per la formazione degli insegnanti specializzati per il sostegno nella scuola dell’infanzia e primaria, che di fatto individuano anche un corso di durata annuale, al quale, però, si potrà accedere acquisendo altri 60 CFU sulla didattica dell’inclusione, oltre ai 30 già previsti dalla laurea in Scienze della formazione primaria. CAPITOLO 2 LE DIFFERENZE IN PRIMO PIANO: DAL MODELLO INDIVIDUALE A QUELLO SOCIALE E DELLE CAPACITA’. In questo capitolo prenderemo in considerazione diversi modelli: la prospettiva inclusiva ha chiaramente bisogno di un substrato culturale adeguato per poter prendere corpo, che non si fondi soltanto su una visione di tipo individuale e clinica, ma che sappia coniugarli in una dimensione sociale. Avere chiari i modelli di riferimento ci può aiutare ad inquadrare la politica dell’integrazione e dell’inclusione scolastica, le prospettive di miglioramento e il ruolo dell’insegnante inclusivo. Il superamento della disabilità non coincide con l’adeguamento a una normalità, quanto piuttosto con l’ampliamento delle possibilità di scelta per l’individuo, con la promozione della sua capacità di autodeterminazione. Martha Nussbaum, ha cercato di delineare un elenco di capabilities fondamentali, uguali per tutti gli esseri umani. Se qualcuno, che abbia o no una menomazione, non riesce a svolgere una di queste funzioni centrali al livello di soglia appropriato, la società deve fare il possibile affinché egli possa farlo. Questo significa agire sia sul piano individuale, migliorando le capacità del singolo individuo, che su quello sociale. La dimensione dell’autodeterminazione è quindi in primo piano. L’ICF: QUANDO LA CLASSIFICAZIONE DIVENTA UNO STRUMENTO DI GUIDA ALLA DIDATTICA Nel 1980 l’OMS pubblicò l’ICIDH, all’interno della quale veniva fatta l’importante distinzione tra menomazione, disabilità e handicap. La revisione apportata nell’ICIDH-2, tentava di correggere l’impostazione lineare fra i concetti di menomazione, disabilità e handicap, proponendo una dinamica più complessa e introducendo l’importante nozione di partecipazione attiva. Si deve comunque attendere il 1999 perché il tentativo di evoluzione operato con l’ICIDH-2 possa trovare il suo compimento nella proposta di un nuovo strumento, l’ICF, attraverso il quale descrivere e misurare la salute e la disabilità della popolazione. Già lo stesso titolo è indicativo del cambiamento sostanziale: non ci si riferisce più a un disturbo senza prima rapportarsi ad uno stato di salute. I tre termini (menomazione, disabilità e handicap) sono sostituiti da attività e partecipazione sociale. Si tratta di una modifica sostanziale che vede al centro l’attività, che può essere più o meno sviluppata. Si afferma così un modello bio-psico- sociale, nel quale la qualità della vita della persona, risulta dall’interazione di sistemi complessi che agiscono in maniera integrata e non separabile. 2007: l’OMS pubblica la Classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute per bambini e adolescenti (ICY-CY), per rispondere all’esigenza di una versione dell’ICF che potesse essere universalmente utilizzata per bambini e adolescenti nei settori della salute, dell’istruzione e dei servizi sociali. Per comprendere ed apprezzare meglio le novità apportate dall’ICF e dal ICF-CY vanno descritti i sistemi di classificazione, di tipo clinico, previsti nell’ICD-10 e nel DSM-5. ICD-10 L’ICD-10 rappresenta la decima revisione della Classificazione internazionale delle sindromi e dei disturbi psichici e comportamentali, pubblicata dall’OMS nel 1992. Quest’ultima versione, comprende la codifica di 300 sindromi e disturbi descritti in diverse sezioni. Per ciascun disturbo, l’ICD-10 riporta una delineazione delle principali caratteristiche cliniche, nonché alcuni aspetti associati. Nell’ICD-10 viene adottato uno schema alfanumerico su codici a tre elementi: lettera seguita da numeri. Le sezioni F70-F79-F80-F89-F90- F98 sono quelle che, in questi anni, sono state più frequentemente richiamate e utilizzate. Nella pratica, si prevede che il soggetto venga valutato in relazione a vari assi, ognuno dei quali rappresenta raggruppamenti e classi di informazioni. Gli assi di riferimento: - ASSE I: PATOLOGIE PSICHIATRICHE E PSICOPATOLOGICHE - ASSE II: PATOLOGIE DA ALTERATO SVILUPPO PSICOLOGICO - ASSE III: PATOLOGIE INTELLETTIVE - ASSE IV: PATOLOGIE ASSOCIATE A PROBLEMI FISIOLOGICI E SOMATICI - ASSE V: PATOLOGIE ASSOCIATE A PROBLEMI PSICOSOCIALI - ASSE VI: SCALA PER LE DISABILITA’. I codici F70-F79 riguardano il ritardo mentale. I codici F84 riguardano l’autismo infantile. DSM-5 Il Manuale Diagnostico e statistico dei Disturbi mentali, è una delle modalità più conosciute e utilizzate dagli operatori sanitari a livello internazionale per delineare la diagnosi nell’ambito dei deficit mentali. Con l’ultima revisione apportata al manuale del 2013, l’organizzazione si è andata a modificare in confronto alla passata versione (DSM-IV-TR) proponendo una visione maggiormente improntata ad analizzare le sindromi con un approccio basato sul ciclo di vita. Il DSM-5 inizia con i disturbi più diagnosticati nelle prime fasi della vita e termina con quelli pertinenti all’età avanzata. Fra i disturbi del neuro-sviluppo, sono comprese le seguenti macro-categorie: - DISABILITA’ INTELLETTIVE - DISTURBI DELLA COMUNICAZIONE - DISTURBI DELLO SPETTRO DELL’AUTISMO - DISTURBO DA DEFICIT DI ATTENZIONE-IPERATTIVITA’ - DISTURBO SPECIFICO DELL’APPRENDIMENTO - DISTURBI DEL MOVIMENTO. L’ICF L’ICF si pone in continuità con le classificazioni precedenti, rovesciando la prospettiva di analisi: non viene considerata la menomazione, ma la salute e le potenzialità dell’individuo e le sue eventuali disabilità in relazione all’attività e alla partecipazione. In questo modo si pongono le premesse, per individuare i bisogni e superare fino al possibile i limiti dell’attività e le restrizioni alla partecipazione. L’ICF è organizzato in 2 parti. La prima è formata dalle seguenti componenti: FUNZIONI CORPOREE E STRUTTURE CORPOREE e ATTIVITA’ E PARTECIPAZIONE. La seconda invece prevede: FATTORI AMBIENTALI e FATTORI PERSONALI (attualmente non classificati nell’ICF). Le funzioni corporee sono le funzioni fisiologiche dei sistemi corporei, incluse quelle psicologiche. Le strutture corporee sono parti anatomiche del corpo come organi, arti e loro componenti. Attività è l’esecuzione di un compito o di un’azione da parte di un individuo. Partecipazione è il coinvolgimento di un individuo in una situazione di vita. I fattori ambientali sono caratteristiche del mondo fisico, sociale e degli atteggiamenti che possono avere impatto sulle prestazioni di un individuo in un determinato contesto. Questa classificazione si ferma ai primi due livelli, ma nel documento dell’OMS si arriva a livello superiori di dettaglio. All’interno di ciascun capitolo infatti, ci sono categorie a due, tre o quattro livelli, ognuna con una breve descrizione e un elenco di elementi inclusi ed esclusi. Le lettere “b”, “s”, “d”, “e”, indicanti le diverse componenti dell’ICF, sono seguite da un codice numerico che comincia con il numero del capitolo (una cifra), seguito dal secondo livello (due cifre) e dal terzo e dal quarto (una cifra ciascuno). Il documento ICF copre tutti gli aspetti della salute umana, raggruppandoli nel dominio della salute e in quelli a essa “collegati”. L’ICF non riguarda solo le persone con disabilità, ma è applicabile a ogni persona che si trovi in qualsiasi condizione di salute, dove vi sia la necessità di valutarne lo stato di salute a livello corporeo, personale e sociale. I codici ICF, per tale motivo, richiedono l’uso di uno o più “qualificatori”, i quali denotano l’entità del livello di salute o la gravità del problema in questione. I qualificatori vengono codificati con uno, due o più numeri dopo un punto. È molto importante squalificare il qualificatore, in quanto senza di esso i codici non hanno un valore intrinseco. Avere un problema può significare una menomazione, una limitazione, una restrizione o una barriera a seconda della componente. Infine, sui fattori ambientali, si hanno eventualmente, delle “barriere”. DALL’ICF ALL’ICF-CY L’ICF-CY (2007) cerca di rispondere alle esigenze connesse alla classificazione delle condizioni di salute e delle manifestazioni di disabilità di bambini e adolescenti, alla luce del fatto che tali situazioni sono diverse in età evolutiva rispetto a quella adulta. L’impianto dell’ICF-CY deriva dall’ICF e prevede modifiche e ampliamenti che riguardano soprattutto alcuni codici e qualificatori per consentire una migliore inclusione di aspetti legati allo sviluppo in età evolutiva. Sono diventati oggetti di attenzione lo sviluppo cognitivo e del linguaggio, il gioco, l’apprendimento, la vita familiare e l’istruzione nei vari domini. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, mentre nell’ICF il tema è affrontato solo facendo riferimento ad alcune categorie generali (istruzione informale, prescolastica, scolastica, superiore), nell’ICF-CY le stesse sono definite più nel dettaglio e arricchite di ulteriori aspetti importanti in funzione dello sviluppo: se e come il bambino o l’adolescente accede a un programma di istruzione scolastica; se e come progredisce da un livello a quello successivo ecc. Una rilevante attenzione viene dedicata all’area ludica in termini di impegno e coinvolgimento nel gioco, classificato secondo le categorie di: gioco solitario, da spettatori, parallelo, cooperativo o condiviso. Altro elemento di interesse è il campo delle tecnologie, descritte nella componente “fattori ambientali”. Dal punto di vista della codifica, si mantiene la caratteristica alfanumerica, con le lettere “b”, “s”, “d” ed “e” seguite da un codice numerico che inizia con il numero del capitolo, seguito dal codice di secondo, terzo e quarto livello. In riferimento all’impiego della codifica ICF o ICF-CY con individui in situazione di disabilità dev’essere sempre evidente che attraverso questo strumento non si ottengono diagnosi cliniche, ma dei PROFILI DI FUNZIONAMENTO, in quanto lo scopo è descrivere la natura e la gravità delle limitazioni del funzionamento e i fattori ambientali che influiscono su di esso. ICF, ICF-CY E DIDATTICA SPECIALE La modifica del quadro di riferimento, rappresenta un riferimento importante anche per la pedagogia e per la didattica speciale. I principali ambiti operativi e le auspicabili ricadute che questi possono determinare nella prospettiva di attivare processi educativi orientati all’inclusione sono 3: - IL CAMBIO DI PROSPETTIVA, con il passaggio da una visione prettamente eziologica a una improntata sul concetto positivo di attività e partecipazione. - LA GRANDE ATTENZIONE CHE VIENE RISERVATA AI FATTORI CONTESTUALI E AMBIENTALI, oltre a quelli connessi ai deficit biologici; - IL RUOLO PARITETICO CHE VIENE RICONOSCIUTO AGLI INTERVENTI CLINICI, RIABILITATIVI, EDUCATIVI E SOCIALI, i quali dovranno necessariamente integrarsi e uscire dalle demarcazioni che ancora li stanno abbondantemente caratterizzando. Per quanto riguarda il primo punto, l’ICF e l’ICF-CY non richiedono di indicare le cause di una menomazione o della disabilità, ma solo di specificarne gli effetti. Questo porta all’abbandono dei termini con una connotazione negativa come “menomazione, handicap” a favore di altri come “attività e partecipazione sociale”. Ponendo al centro le potenzialità dell’individuo nel suo interagire con le condizioni ambientali, si tende a pensare maggiormente alla persona in una dimensione diacronica, nella quale il diritto ad avere un futuro e quello a raggiungere una dimensione di massima autonomia possibile, sono pienamente riconosciuti. È la prospettiva del “progetto di vita” che trova una conferma fondamentale nell’articolazione dell’ICF. La novità più rilevante introdotta dall’ICF riguarda il fatto che il funzionamento e la disabilità della persona sono concepiti come una complessa interazione tra le condizioni di salute e i fattori contestuali, relativamente all’attività concreta dell’individuo e alla sua possibilità di partecipazione alla vita sociale. Viene superato il modello di riferimento che tendeva a enfatizzare in maniera preponderante la dimensione biomedica nel concetto di salute. - molteplici mezzi di rappresentazione, per dare agli studenti vari modi di acquisire una informazione/conoscenza - molteplici mezzi di espressione, per fornire agli studenti delle alternative per dimostrare cosa sanno - molteplici mezzi di impegno, per colpire l’interesse degli studenti e metterli alla prova in modo appropriato, motivandoli all’apprendimento Le Linee Guida delle UDL tendono ad allineare le reti che si usano nel processo di apprendimento (di riconoscimento , strategica e affettiva ), con i rispettivi princìpi - > riconoscimento con rappresentazione, strategica con azione ed espressione, affettiva con coinvolgimento. È importante sottolineare che: - Gli allievi tendono a percepire e comprendere in maniera diversa le informazioni che gli vengono sottoposte. Gli studenti possono esprimere delle preferenze personali per le informazioni presentate su canali diversi, che vengono riferiti a stili specifici di apprendimento - Gli allievi differisco tra di loro anche per le modalità con cui acquisiscono conoscenze e competenze. A questo livello si impone che il curricolo venga reso flessibile, per sollecitare approcci strategici vari e personali ai compiti. L’orientamento dovrebbe essere quello di privilegiare forme di valutazione autentica nella quale gli studenti svolgono compiti reali, in grado di consentire l’applicazione significativa di conoscenze e competenze essenziali. - Gli allievi esprimono modalità diversificate di coinvolgimento nei compiti in relazione a quando sono motivati: la sfera affettivo-emozionale va tenuta in grande considerazione per la qualità dei processi di apprendimento Quindi, adattare i curricoli didattici agendo sui 3 principi può soddisfare i bisogni di tutti gli studenti fin dall’inizio. La gran parte delle risorse proposte dal CAST fanno riferimento all’utilizzo della tecnologia digitale, che rende possibile l’adattamento rapido dei curricoli con modalità pratiche -> nelle Linee Guida viene comunque sottolineato che le tecnologie, pur essendo di primaria importanza, non dovrebbero essere considerate come l’unico mezzo per applicare l’UDL. • Mitchell mette in evidenza come l’UDL sia una strategia multicomponenziale e come tale difficile da analizzare, quindi raccomanda la pianificazione e l’implementazione di ricerche per valutare la qualità dell’approccio UDL, in un contesto nel quale vengono applicati tutti i suoi principi. Per concludere, la tecnologia non è sinonimo di UDL, ma gioca un ruolo importante nella sua attuazione e concettualizzazione. 3. Proposta di un modello per l’adattamento dei curricoli didattici Sono 3 le dimensioni che caratterizzano momenti specifici della programmazione educativa: - la modalità con la quale possono venire presentate le proposte didattiche - le forme utilizzabili dagli allievi per manifestare le proprie competenze e acquisizioni - le procedure di elaborazione delle informazioni e di pensiero che è opportuno vengano stimolate Le prime due dimensioni ricalcano gli aspetti centrali evidenziati nelle Linee Guida del CAST, mentre la terza dimensione considera cosa avviene fra la presentazione degli stimoli e le risposte che gli allievi manifestano: le procedure di elaborazione delle informazioni sono le strategie cognitive e metacognitive ecc. Quest’ultimo aspetto è ripreso da Stemberg, che propone una teoria dell’intelligenza in versione plurale, identificando 3 forme diverse di pensiero (analitico, creativo e pratico): • il pensiero analitico si distingue per la capacità di chiedersi il perché delle cose e spiegarne la causa, confrontare, esaminare • il pensiero creativo è caratterizzato dall’immaginazione, dall’abilità a produrre il nuovo • il pensiero pratico consente di essere abili nell’usare strumenti, saper organizzarsi e dimostrare come si fa Secondo Stemberg essere intelligenti significa riuscire a pensare in uno o più di quesi modi, anche se va sottolineato che non esiste un modo giusto di insegnare o di imparare che funzioni per tutti gli studenti. Da questa constatazione viene fuori la necessità di evitare che la didattica scolastica continui a fare riferimento alla sola intelligenza analitica, penalizzando le altre forme di intelligenza. Bisogna quindi prevedere delle procedure per sollecitare, promuovere e valorizzare tutte le forme di pensiero per essere nella prospettiva dell’inclusione, e per far in modo che ognuno si senta far parte di un’ambiente di apprendimento che apprezzi le sue potenzialità e non penalizzi i suoi limiti -> per quanto possibile si deve cercare di interrompere la visione separata delle didattica ( da un lato quella per la maggior parte degli allievi; e dall’altro quella per alunni BES ). Cap. 5 Cercare i punti di contatto per una programmazione inclusiva Un obiettivo di fondo della didattica speciale è quello di trovare il punto di contatto fra programmazione curricolare e programmazione individualizzata, cercando di individualizzare ed includere allo stesso tempo. 1. Programmare congiuntamente per ricercare obiettivi comuni La prospettiva inclusiva può trovare una reale possibilità di concretizzarsi solo se si fonda su processi di programmazione integrata. Osservando la realtà purtroppo si trovano ancora dei pregiudizi pericolosi all’interno delle scuole: da un lato esistono docenti di sostegno che pretendono di essere gli unici a poter insegnare al bambino BES, mentre dall’altro ci sono insegnanti curricolari che pensano di non avere la competenza per lavorare con l’alunno, delegando all’insegnante di sostegno tutto “il peso” ( responsabilità educativa ). Tortello (1999) raccomanda a tutti gli insegnanti di porsi le seguenti domande: - “C’è almeno una cosa fra le tante previste per tutta la classe che può essere svolta anche dall’alunno che segue un PEI?” - “C’è almeno una cosa fra quelle contemplate per gli alunni in difficoltà che può essere proposta anche agli altri compagni di classe?” Esistono risposte positive a questi quesiti, che possono essere colte nel momento in cui si abbandona la rigidità del programma e si abbraccia la filosofia flessibile della programmazione. Questa integrazione, oltre che ad essere possibile, è anche proficua per tutti gli allievi che presentano delle difficoltà -> Celi e i suoi collaboratori ritengono che alcuni obiettivi della scuola primaria (come ascoltare e comunicare) sono quasi sempre alla portata degli allievi in difficoltà, mentre altri obiettivi (come leggere, comprendere, rielaborare e produrre testi scritti) si prestano bene come punto di partenza per una programmazione individualizzata, che tenga conto di quello che fanno i compagni di classe. Nella scuola secondaria la situazione è diversa sia per il docente di sostegno sia per l’alunno con difficoltà, in primis perché lo studio delle programmazioni curricolari è più complesso, in secundis perché la distanza tra gli scopi generali della classe e le potenzialità dell’alunno BES tendono ad aumentare progressivamente. Nonostante questo, si può dire però che analizzando le programmazioni di classe si possono comunque pianificare alcuni obiettivi in relazione a quelli della classe: le attività che impegneranno l’allievo con disabilità saranno poco funzionali per lui, ma questi momenti sono giustificabili in funzione della finalità inclusiva e del potenziamento dell’autostima. Per la scuola superiore si potrebbe fare un discorso simile. L’adattamento degli obiettivi non deve essere un’operazione a senso unico: in alcune occasioni ci possono essere delle attività pensate a favorire l’allievo in difficoltà, alle quali anche i compagni partecipano -> In questo caso è il curricolo speciale per l’allievo con disabilità ad essere proposto all’intero gruppo classe. Così anche i compagni possono trarne vantaggi, sia di tipo cognitivo ( ad esempio con la ripetizione di alcune parti del programma ) che sociale. Un momento in cui le competenze metacognitive vengono sollecitate è legato ai processi di aiuto che vengono forniti ai compagni in difficoltà -> nel momento in cui un allievo si trova a supportare un compagno con problemi, capisce che per aiutarlo a comprendere bisogna guidarlo passo passo senza anticipare nulla. 2. Gli obiettivi possono essere avvicinati In classe la presenza dell’allievo con bisogni speciali può essere facilitata avvicinando i suoi obiettivi a quelli dei compagni, attraverso un’azione sui contenuti didattici, i quali possono essere modificati, ridotti o traditi per adeguarli alle esigenze dell’allievo disabile. - Si possono utilizzare disegni e immagini, dato che sono i mezzi più efficaci per svolgere attività più semplici e comprensibili, ed un altro riferimento principale sono le innovazioni tecnologiche, che offrono strumenti facilmente accessibili. - Oltre all’utilizzo di materiali con ampia presenza di illustrazioni, l’insegnante può anche agire sui libri di testo, rendendoli più semplici e comprensibili -> Ecco un esempio di programmazione integrata fra insegnanti curricolari e insegnante di sostegno, riferita ad un allievo di classe seconda con disabilità intellettiva: Commenti didattico organizzativi La programmazione individualizzata dell’area logico-matematica, rispetto alla curricolare, è ridotta, in quanto l’allievo con deficit ha difficoltà a generalizzare autonomamente e correttamente le acquisizioni non stabilizzate; presenta inoltre consistenti problemi nell’eseguire inferenze. L’attività didattica si indirizza a creare delle situazioni concrete, possibilmente di vita quotidiana, nelle quali si calano specifici ragionamenti logici e matematici. Per quanto riguarda l’organizzazione didattica ci sono obiettivi comuni che possono essere svolti in classe, obiettivi semplificati in cui l’allievo può lavorare in classe seguendo un itinerario più semplice. Quando gli obiettivi della classe e quelli individualizzati sono diversi, l’allievo con deficit può svolgere delle attività, in parte all’interno della classe con l’ausilio della docente di sostegno, e in parte fuori dalla classe. CAPITOLO 6: IL PROFILO DEI DOCENTI PER LA SCUOLA DELL’INCLUSIONE E I PROCESSI DI FORMAZIONE OCSE, 2005: “migliorare la professionalità degli insegnanti è l’azione che più verosimilmente produrrà un innalzamento del rendimento scolastico degli alunni e della loro capacità di vivere in maniera serena e socialmente proficua l’esperienza formativa”. Inoltre, preparare docenti di qualità, in grado di “rispondere alla diversità delle richieste e delle esigenze didattiche ed educative che incontreranno in classe, è l’iniziativa politica che con maggiore probabilità avrà un impatto positivo sullo sviluppo di comunità più inclusive” (European Agency for Development in Special Needs Education, 2012). Lavoro dell’insegnante  caratterizzato da diverse dimensioni (necessariamente combinate tra loro): -saperi: competenze culturali e didattiche -valori: responsabilità educative -riflessività sul proprio operato: consapevolezza professionale 1.ESSERE DOCENTI INCLUSIVI: TUTTI, NON SOLO GLI SPECIALIZZATI Modello proposto da Perrenoud (1999) Sono stati selezionati 10 “domini di competenze”, con le relative subcompetenze, che evidenziano l’ampio spettro dei settori di competenza necessari per svolgere la funzione di docente: - organizzare e animare le situazioni di apprendimento - gestire la progressione dell’apprendimento - progettare e far evolvere serie di attività per la differenziazione - coinvolgere gli studenti nel loro apprendimento e nel loro lavoro - lavorare in gruppo - partecipare alla gestione della scuola - informare e coinvolgere i genitori - servirsi delle nuove tecnologie - affrontare i doveri e i problemi etici della professione - curare la propria formazione continua Meazzini (2000)  affrontando il tema della valutazione degli insegnanti afferma che il profilo del docente efficace si caratterizza per una serie di competenze di tipo professionale e personale ( connettere nuove conoscenze con quelle pregresse degli alunni e con la loro esperienza, facilitare gli alunni nell’acquisizione di tecniche e metodi personali di studio, valutare in modo affidabile, creare un clima collaborativo, suscitare negli allievi il senso di appartenenza a una comunità…). Inoltre l’insegnante deve essere un leader emotivo in grado di regolare la propria emotività e accogliere le emozioni degli allievi: deve essere un modello positivo per dimostrare che tutte le emozioni sono lecite, ma non tutti i comportamenti. Stronge, Tucker e Hindman (2004)  ulteriore contributo interessante: La riflessione sul proprio operato è posta come condizione di base per il docente di qualità. Caratteristiche fondamentali da possedere: - capacità di caring (atteggiamento di interesse, vicinanza, recettività verso gli allievi) - comportamento corretto ed imparziale - atteggiamento positivo - buone capacità interattive - suscitare entusiasmo e motivazione - saper riflettere sulla pratica di insegnamento Inoltre le competenze di ricerca e sperimentazione sono fondamentali per il profilo professionale del docente chiamato a individuare i percorsi didattici più efficaci e le strategie e le metodologie più utili. In sintesi, il presupposto deve essere la piena consapevolezza di ciò che si fa, la comprensione del suo significato. Dimensione dell’inclusione (responsabilità di TUTTI i docenti) Vi è sempre più una maggiore esigenza di considerare positivamente il valore della differenza e, al contempo, vi è la difficoltà del fare scuola in classi sempre più eterogenee e diverse. Ciò deve portare gli insegnanti a considerare la pluralità una condizione favorevole e necessaria per educare e promuovere l’intelligenza sociale  classe come metafora della costruzione sociale della conoscenza. Documento dal titolo “ Communication from the Commission to the Council and the European Parliament, Improving the Quality of Teacher Education” (2007, Commissione Europea) Viene definito uno specifico quadro di competenze necessarie per svolgere la professione di docente in ottica inclusiva: - identificare i bisogni di ciascun allievo e rispondervi con strategie didattiche adeguate - sostenere lo sviluppo dell’autonomia dei giovani - aiutare i giovani a acquisire le competenze elencate nel Quadro europeo di riferimento - lavorare in contesti multiculturali (valore della diversità e rispetto della differenza) - lavorare in collaborazione con colleghi, genitori e comunità - acquisire, sviluppare e utilizzare competenze manageriali European Agency for Development in Special Needs Education, 2001 : propone un profilo dei docenti inclusivi (sulla stessa linea del precedente): - valori e aree di competenza necessari per tutti gli insegnanti, poiché l’inclusione è responsabilità di tutti i docenti - valori e aree di competenza danno ai docenti le basi per lavorare con alunni che presentano una vasta gamma di esigenze all’interno di una stessa classe - l’inclusione è un approccio valido per tutti gli studenti, non solo per determinati gruppi portatori di esigenze particolari 4 valori essenziali dell’insegnamento e dell’apprendimento: - valutare la diversità degli alunni, considerando la differenza come una risorsa e una ricchezza - sostenere gli alunni (docenti chiamati a coltivare alte aspettative sul successo scolastico per ogni studente) - lavorare con gli altri (collaborazione e lavoro di gruppo sono approcci fondamentali per tutti i docenti) - sviluppare un aggiornamento professionale continuo 2. SCUOLA DELL’INCLUSIONE E INSEGNANTI SPECIALIZZATI PER IL SOSTEGNO: UNA CONTRADDIZIONE O UN’ESIGENZA? L’inclusione è una responsabilità dell’intera organizzazione scolastica, di tutti gli insegnanti. Insegnante specializzato per il sostegno  figura e ruolo fondamentali per perseguire obiettivi significativi, che si identificano nella fruizione del diritto all’inclusione e al raggiungimento del massimo successo La formazione in servizio La formazione di base (iniziale) non può fornire tutte le conoscenze e competenze necessarie per lo sviluppo professionale continuo e progressivo. Formazione come processo che occupa e qualifica l’intera carriera di ogni insegnante. - Legge 107/2015, al comma 12.4 dell’art. 1  fissa in modo chiaro questo principio, sottolineando come la formazione in servizio debba essere “obbligatoria, permanente e strutturale”. Nel piano Nazionale di formazione (per il triennio 2016-19) sono indicate 9 priorità tematiche, tra le quali compare quella relativa all’inclusione e alla disabilità. La formazione del personale deve essere raccolta nel portfolio digitale di ogni docente. Oltre ai docenti, la formazione deve riguardare anche le altre componenti che esercitano un ruolo nei processi inclusivi, come il personale ATA. Inoltre il D.Lgs. 66/2017, applicativo dei principi espressi nella legge 107/2015, prevede che il MIUR definisca le modalità della formazione in ingresso e in servizio dei dirigenti scolastici sugli aspetti dell’inclusione scolastica. Il nido come ulteriore prospettiva Il D.Lgs. 13 Aprile 2017 n. 65, oltre a sottolineare che tali servizi (nidi, sezioni primavera, servizi integrativi) favoriscono l’inclusione di tutte le bambine e di tutti i bambini attraverso interventi personalizzati e un’adeguata organizzazione degli spazi e delle attività, prevede la qualificazione universitaria del personale che vi opera, in modo da garantire il massimo della qualità educativa e non solo un supporto materiale alle famiglie. Centralità della prospettiva di inclusione  i servizi educativi per l’infanzia devono: -concorrere a ridurre gli svantaggi culturali, sociali e relazionali e favorire l’inclusione - accogliere bambini e bambine con disabilità certificata - rispettare e accogliere la diversità in tutte le sue forme Formazione del personale  laurea in Scienze dell’educazione, con un percorso indirizzato in maniera specifica a questa fascia d’età Punti di forza, dubbi, criticità A livello di architettura formativa il quadro che si delinea con queste disposizioni è promettente. Servizi educativi per la prima infanzia  vengono sempre più considerati i nidi, le sezioni primavera e i servizi integrativi come segmento iniziale del percorso educativo dei bambini. In questa ottica, la richiesta di una formazione universitaria per il personale che vi opera è di fondamentale rilevanza. Scuola dell’infanzia e primaria  Sicuramente sarebbero utili alcuni accorgimenti sul piano formativo di SFP, magari introducendo una maggiore flessibilità nella tabella degli insegnamenti. Un ulteriore elemento da definire riguarda la collocazione di alcuni crediti aggiuntivi parallelamente al percorso quinquennale, in modo da non allungare a sette anni e scoraggiare molti insegnanti. Scuola secondaria di primo e secondo grado  è quella più toccata dalle nuove disposizioni applicative della legge 107/2015. Elemento di maggiore problematicità: è quello relativo alla formazione sui temi inclusivi degli insegnanti curricolari CAPITOLO 7: LA DETERMINAZIONE DELLE POTENZIALITA’ DI SVILUPPO E LA VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE Valutazione  ruolo fondamentale per la programmazione, la conduzione e il monitoraggio dell’attività didattica, oltre che per la documentazione degli esiti della stessa. 1.La determinazione dello sviluppo potenziale La rilevazione delle capacità e delle difficoltà che possono essere manifestate in compiti di varia natura non è sufficiente per predisporre adeguatamente gli obiettivi del lavoro didattico, soprattutto quando riferiti ad alunni con BES: è indispensabile conoscere anche le PROSPETTIVE DI APPRENDIMENTO ( ovvero cosa si ritiene che i nostri allievi possano acquisire in tempi abbastanza contenuti). Il contributo di Vygotskij alla didattica I concetti di “interiorizzazione”, “mediazione semiotica”, “discorso interno” e soprattutto “zona di sviluppo prossimale” rappresentano dei riferimenti dai quali possono prendere spunto importanti sviluppi operativi. Tesi di Vygotskij  le funzioni mentali dell’uomo hanno un’origine spiccatamente sociali per poi interiorizzarsi. Lo sviluppo cognitivo della persona deve essere ricondotto alle sue interazioni nell’ambiente - Interiorizzazione: il comportamento deve esistere socialmente prima che possa diventare parte del comportamento interno dell’individuo - Mediazione semiotica: possibilità di utilizzare segni che conferiscono il potere di regolare e modificare forme naturali di comportamento e cognizione  sono prodotti della mediazione semiotica le forme superiori delle funzioni mentali umane, come l’attenzione selettiva, la memoria strategica, la comprensione del linguaggio, la capacità di problem solving. Per effettuare queste operazioni (interiorizzazione e mediazione semiotica) un ruolo fondamentale è giocato dal linguaggio nell’interazione tra le persone (che, a sua volta, ha origine sociale e successivamente diventa egocentrico, fino ad assumere valenza di discorso interno) Vygotskij  ruolo centrale dell’educazione: per lui, lo sviluppo delle forme superiori di processi mentali nei bambini avviene attraverso la loro acculturazione nella società mediante l’educazione. Istruzione: una delle principali fonti dei concetti dell’alunno ed è anche una potente forza che indirizza la loro evoluzione, oltre a determinare il destino del suo sviluppo mentale complessivo. La pratica educativa, per Vygotskij, deve enfatizzate l’aspetto interattivo  senza l’interazione sociale il significato di contesto e contenuto non esisterebbero. L’apprendimento cooperativo o collaborativo, quindi, influenza sia l’alfabetizzazione che tutte le acquisizioni tipiche delle funzioni cognitive superiori dell’uomo. Apprendimento umani  implica la natura sociale 2. La valutazione delle competenze La valutazione deve orientarsi anche verso l’analisi delle competenze (per le quali è richiesto un processo di certificazione al termine del percorso di scuola primaria e della secondaria di primo grado). Conoscenze  fatti, idee e concetti acquisiti - dichiarative > padronanza di informazioni concettuali - procedurali > forniscono info su come fare una determinata cosa - condizionali > portano a definire le condizioni di spazio, tempo, qualità, quantità ecc. di un fenomeno o fatto empirico Abilità  saper fare codificato. Possesso di procedure, le quali, con una serie di passi, perseguono il successo in specifiche azioni. - sequenziali > costituite da sequenze empiriche di azioni memorizzate - trasformative > costituite da una serie di passi che possono modificarsi in relazione all’azione da svolgere, ma che seguono comunque un codice prestabilito (es: scrivere in modo ortograficamente corretto, effettuare un’operazione in colonna…) - traspositive > costituite da sequenze di passi differenziati in relazione alle azioni da svolgere, che richiedono di operare, però, con più piani possibili o codici di riferimento (es: muoversi nello spazio utilizzando una mappa, tradurre in forma grafica dei dati statistici…) Competenze  insiemi organizzati che mettono in gioco, in maniera coordinata, 3 componenti: conoscenze, abilità e metaqualità (ovvero dispositivi di controllo e di elaborazione sovraordinati)  la competenza non è uno “stato” ma un “processo” che si fonda sulla mobilitazione delle risorse dell’individuo in una determinata situazione o contesto, allo scopo di conseguire una prestazione significativa  “ciò che si sa fare con ciò che si sa”. La complessità del concetto di COMPETENZA ci fa capire quanto siano difficili da mettere a fuoco le modalità attraverso le quali verificarne il possesso negli allievi. Trinchero (2014)  per trovare gli indicatori del possesso di una competenza, è necessario anzitutto identificare con precisione i tratti che la caratterizzano e gli esiti osservabili che discendono da essi (descrittori della competenza), classificabili in termini di risorse da mobilitare, di strutture d’interpretazione della situazione problema, di strutture di azione e di strutture di autoregolazione della propria azione, quando l’allievo viene chiamato ad esercitare la sua competenza in particolari contesti sfidanti. Le osservazioni sviluppate sono indicatori dai quali poter inferire il possesso della competenza, ma non sono la competenza stessa. Perciò non è sufficiente una singola prestazione, ma è necessario porre ripetutamente l’allievo di fronte a situazioni problematiche, in condizioni diverse, per poter dedurre l’esistenza di una competenza che sottende alle sue prestazioni. I compiti devono essere autentici  connessi alla realtà. Necessario indagare anche il processo messo in atto dall’allievo e il grado di consapevolezza che possiede riguardo all’approccio da adottare per ottenere risultati significativi. Fare ricorso a: COMPITI DI REALTA’, OSSERVAZIONI SISTEMATICHE E AUTOBIOGRAFIE COGNITIVE. I compiti autentici - significativi: facenti parte dell’esperienza di vita dell’allievo Con “autenticità” non si intende tutto ciò che si rifà alla vita reale  le prove devono essere in grado di sollecitare un transfer di apprendimento, collegando il mondo vero dell’allievo al curricolo scolastico. - possibilità di più soluzioni alternative - messa in campo di diverse abilità - viene sollecitata una riflessione sul proprio apprendimento (sia individuale che in gruppo, in relazione non solo al risultato ma anche al percorso adottato). Aggancio ai compiti autentici  significativo anche ai fini inclusivi: il richiamo alle situazioni reali mette ogni allievo di fronte alla possibilità di esprimere il proprio potenziale facendo riferimento a saperi non estranei a quelli che utilizza nella realtà di tutti i giorni, che possono portarlo ad assumere un ruolo che non sempre si vede riconosciuto nell’articolazione tradizionale della didattica. Il processo osservativo sulle competenze e la riflessione metacognitiva I risultati che si rilevano nell’esecuzione dei compiti autentici mostrano la manifestazione esterna della competenza, il prodotto. Non sono in grado di fornire info sul processo messo in atto da ogni allievo  vi è quindi l’esigenza di indagare, attraverso strumenti osservativi più o meno strutturati, alcuni parametri riferiti al percorso messo in atto dall’allievo. RUBRICHE VALUTATIVE come strumento per guidare l’osservazione di questi processi. Componenti principali: - Dimensioni > caratteristiche peculiari che contraddistinguono una determinata prestazione  “Quali aspetti considero nel valutare una certa prestazione?”” - Criteri > traguardi formativi in base a cui si valuta la prestazione  “In base a cosa posso apprezzare la prestazione?”” - Indicatori > attraverso quali evidenze osservabili riconoscere la presenza o meno dei criteri  “Quali evidenze osservabili mi permettono di rilevare il grado di presenza del criterio di giudizio prescelto?”” - Ancore > esempi concreti di prestazione - Livelli > precisano i gradi di raggiungimento dei criteri considerati sulla base di una scala ordinale (livello più elevato: pieno raggiungimento del criterio). Le osservazioni sistematiche, in quanto condotte dall’insegnante, non consentono di cogliere interamente altri aspetti che caratterizzano il processo: il senso o il significato attribuito dall’alunno al proprio lavoro, le intenzioni che lo hanno guidati, le emozioni o gli stati affettivi provati. Questo livello di analisi può concretizzarsi attraverso una procedura di tipo autovalutativo. Alcuni autori suggeriscono l’utilizzo di autobiografie cognitive  il racconto, da parte dello studente, del percorso cognitivo compiuto, con l’autovalutazione del prodotto realizzato e del processo adottato per rispondere alla situazione problema connessa al compito. Queste procedure legate alla narrazione di sé hanno trovato applicazioni interessanti anche nella didattica speciale, soprattutto come strumenti utili per la ricostruzione dell’identità personale degli individui. La certificazione delle competenze Concetto introdotto dalle I.N. per il curricolo 2012. D.Lgs 13 Aprile 2017 n.62, applicativo della legge 107/2015  l’adozione del modello di certificazione delle competenze diventa obbligatoria. -termine della scuola primaria e del primo ciclo di istruzione > anche per gli allievi in condizione di disabilità, in coerenza con gli obiettivi del PEI. Nota ministeriale 2000/2017  propone un modello sperimentale aggiornato per elaborare il documento di certificazione delle competenze, che dovrà essere consegnato alla famiglia dell’alunno e, in copia, all’istituzione scolastica o formativa del ciclo successivo. Modello di certificazione delle competenze proposto dal MIUR a livello sperimentale per l’anno scolastico 2016-17, integrato con una sezione aggiuntiva riferita agli obiettivi del PEI per allievi in situazione di disabilità. Documento articolato in 4 colonne che riportano - competenze chiave europee - competenze indicate dal profilo finale dello studente - obiettivi del PEI - livelli da attribuire a ciascuna competenza, articolati su 4 indicatori di padronanza problematiche, ma anche perché l’atteggiamento aperto nei confronti delle opinioni degli allievi sollecita la partecipazione e promuove la responsabilità dei singoli. Va messo in evidenza come le relazioni vengano attivate pure attraverso una conoscenza e valorizzazione delle differenze, che avvicini le singole individualità e agevoli la percezione dei bisogni di ognuno, in direzione dei quali mettere a disposizione le proprie risorse. Tutto questo è la condizione fondamentale per stimolare la creazione di uno spirito di gruppo, che favorisca il lavoro cooperativo e faccia sentire la classe come una comunità nella quale si appende collettivamente, prima ancora che individualmente. Alcuni allievi, in particolar quelli che presentano BES, possono costruire e consolidare un senso d’inadeguatezza, al quale si connette un atteggiamento di sfiducia e di rinuncia alla partecipazione attiva nel contesto della classe. È necessario quindi che l’insegnante dedichi attenzione positive a ogni alunno, facendogli sentire il suo interesse e, soprattutto, la sua convinzione che possano farcela: quando l’insegnante crede negli studenti, questi credono maggiormente in loro stessi. Un ulteriore aspetto sul quale è possibile lavorare per migliorare il clima della classe è quello di stimolare un reale senso di appartenenza di tutti gli allievi al gruppo. Festeggiare insieme alcune occasioni, la riuscita in un determinato compito, possono creare delle condizioni di reale vicinanza e rafforzare il senso di appartenenza e d’identità dei componenti del gruppo classe. La classe non è un insieme di individualità, ma una trama di relazioni reciproche di simpatia, di solidarietà, di aspettative, di timori, di accoglienza più o meno convinta, che vanno aiutare a indirizzarsi nella prospettiva del gruppo, nel quale i componenti si sostengono e si rispettano, convinti che i risultati migliori possono essere ottenuti attraverso una reale condivisione e collaborazione. Anche le differenze rivestono un valore specifico, da promuovere come risorse e non da penalizzare come elemento che si distanzia da un concetto precostituito di norma. Portare in primo piano le diversità costituisce una condizione assolutamente imprescindibile dell’educazione al rispetto e alla convivenza sociale. Anche per quanto riguarda le situazioni di disabilità il discorso non cambia: la diversità non inficia la dignità e l’originalità della persona, anzi la esalta. Le informazioni sulle situazioni di disabilità possono essere integrate nel curricolo in modi diversi: - Invitando in classe studenti con disabilità più grandi, genitori di studenti con disabilità, esperti; - Presentando e discutendo in classe filmati, programmi televisivi, libri, riviste e articoli sulle disabilità; - Svolgendo ricerche su personaggi celebri con disabilità; - Informandosi sugli ausili e sulle tecnologie per la riduzione delle disabilità; - Proponendo attività che, attraverso la simulazione, permettano agli allievi di comprendere come ci si possa sentire ad avere un deficit fisico, sensoriale o cognitivo. La classe come contesto di apprendimento È importante che l’insegnante adotti alcune procedure metodologiche che possano stimolare il successo formativo di tutti e, anche attraverso questo, promuovere un clima adeguato nella classe. Tre aspetti appaiono di sostanziale significato: - L’attenzione a come vengono presentati gli obiettivi e le aspettative  comunicare il lavoro che si andrà a sviluppare in funzione del raggiungimento di certi risultati, individuali o di gruppo, attribuisce un senso allo sforzo personale e può enfatizzare ulteriormente l’importanza di perseguire finalità collettive. Le aspettative devono essere certamente di alto livello, ma realistiche ed effettivamente raggiungibili. Per poter comunicare e sperare di incidere in positivo è necessario che l’insegnante creda fermamente nelle possibilità di ognuno dei suoi allievi, i quali, nella loro specificità, vanno ritenuti capaci di perseguire gli apprendimenti essenziali del curricolo. La modalità comunicativa non deve essere necessariamente verbale e diretta, ma può anche far riferimento a sguardi, gesti, sorrisi, attenzioni particolari per ogni allievo, anche quando commette degli errori. L’allievo comprende subito se si trova in un ambiente nel quale gli è concessa l’opportunità di sbagliare (la scuola è un’agenzia formativa volta a promuovere l’apprendimento e come tale deve insegnare a ognuno a riconoscere la meta e a perseguirla con le proprie forze, assicurando però la possibilità di commettere errori. Agli allievi della classe è fondamentale comunicare le aspettative non solo in relazione agli apprendimenti attesi, ma anche ai comportamenti da adottare, attraverso un sistema di regole condivise. È importante anche condividere con gli allievi alcune scelte curricolari, ma anche le procedure di valutazione. Questo è un passaggio molto utile per insegnare agli allievi ad autovalutarsi e a confrontare la propria autovalutazione con quella dell’insegnante; - L’abbassamento dei livelli di competitività e la promozione della cooperazione  in ogni classe le attività didattiche prevedono diverse modalità di organizzazione, le quali possono concorrere a determinare specifiche tipologie di clima. Alcune sono individualistiche, con gli allievi sollecitati a lavorare da soli; altre hanno caratteristiche competitive e stimolano al raggiungimento degli obiettivi cercando di primeggiare sui compagni; altre ancora sono cooperative e fondano sullo sforzo condiviso e sull’interdipendenza positiva. Nessuno di questi approcci può essere eliminato, ma si dovrebbe far prevalere la condizione e cooperazione e ridurre la competizione. In un’organizzazione fondata sullo stimolo alla cooperazione, l’allievo sperimenta che la relazione d’aiuto è alla base della vita della classe e non si indirizza solo agli alunni con disabilità o con problemi presenti nel gruppo. L’allievo si rende conto di quanto sia importante supportare chi ha più necessità, ma è anche consapevole che, se avesse bisogno di aiuto, lo troverebbe immediatamente sia nel proprio insegnante che nei propri compagni. In concreto, in una scuola realmente inclusiva debbono trovare posto le realizzazioni e le esigenze di tutti gli allievi, anche di quelli tendenzialmente competitivi e individualisti. Infatti, puntare solo al lavoro di gruppo, come unica metodologia valida e costruttiva, può creare un eccessivo timore di fare da soli, una dipendenza troppo forte dal gruppo, un abbassamento del senso di sfida e della motivazione; - Il mostrare agli allievi come essi siano i veri responsabili del proprio successo, enfatizzando lo sviluppo di un locus of control interno  l’assunto di base di questa teoria ipotizza che l’analisi delle cause alle quali le persone attribuiscono il successo o l’insuccesso delle proprie azioni risulta di fondamentale importanza per determinare l’atteggiamento che assumeranno nei riguardi di vari compiti. Lo stile più funzionale al successo nei processi di apprendimento è quello che attribuisce la massima valenza all’impegno personale. Per questo motivo è molto importante rendere evidente agli allievi che sono responsabili del loro successo, enfatizzando in questo modo lo sviluppo di un locus of control interno e controllabile. Intimamente connessa allo stile di attribuzione vi è un’altra variabile cognitiva, la percezione di autoefficacia. Si tratta delle convinzione che ogni allievo ha sulla propria capacità di raggiungere i risultati desiderati nell’esecuzione dei compiti. Questa autoconsapevolezza del proprio livello di efficacia ha effetti sostanziali sulla loro capacità di apprendimento e sulla costruzione di un buon livello di autostima e di identità psicologica. Come sostiene Bandura: le persona hanno la facoltà di determinare il proprio funzionamento psicosociale attraverso meccanismi di autoregolazione. Fra i meccanismi di autoregolazione, nessuno è più centrale e di maggiore portata delle convinzioni che le persone hanno circa la propria efficacia personale. Il concetto di senso di autoefficacia si riferisce alla convinzione nelle proprie capacità di organizzare e realizzare il corso di azioni necessario a gestire adeguatamente le situazioni che si incontreranno, in modo da raggiungere i risultati prefissati. La classe come contesto di regole condivise Le attenzioni da riservare alla promozione di adeguate relazione nel gruppo e con gli insegnanti e allo sviluppo di un atteggiamento positivo nei confronti delle esperienze di apprendimento sono anche alla base della capacità di gestire adeguatamente il gruppo classe. Condurre la classe, infatti, significa coinvolgere gli allievi, sostenere il loro interesse e impegno, incoraggiarne la partecipazione. Tutto questo richiede sia competenze personale, sia competenze organizzative e metodologiche. Le prime sono connesse alla necessità di assumere numerose decisioni in tempi estremamente rapidi e di controllare situazioni di stress nel momento in cui si opera in classi sempre più eterogenee e complesse da gestire; le seconde sono relative alla capacità di organizzare il sistema delle regole, che determinano il funzionamento della classe, arrivando a condividerle con gli allievi in modo da facilitarne il rispetto. Prendere decisioni pertinenti e sapersi autocontrollare Ogni giorno un qualsiasi insegnante prende numerose decisioni. È evidente come sia necessaria una specifica abilità personale per affrontare positivamente i problemi e per decidere in maniera pertinente e rapida, che viene definita di problem solving e decision making. Va sottolineata l’esigenza che l’insegnante possieda forti dosi di autocontrollo per poter affrontare contesti potenzialmente stressanti senza scaricare ansia e aggressività nelle interazioni. L’autocontrollo è il risultato di una serie di competenze che possono e devono essere apprese e continuamente affinate e migliorate, in quanto la loro assenza determina ripercussioni estremamente negative nella prassi educativa e nella possibilità di gestione adeguata della classe. Condividere le regole La classe, come sistema sociale complesso e articolato, si regge su regole precise, che devono essere accettate e rispettate da tutti. Questa condizione diventa davvero significativa nel momento in cui l’adesione alla regola da parte di ognuno è il frutto di una condivisione e non di semplice imposizione di chi esercita l’autorità. È sicuramente opportuno comunicare e concordare con gli alunni regole e procedure, verificando che siano state comprese, e illustrare al tempo stesso gli effetti dei comportamenti inadeguati. Per far sì che una regola venga interiorizzata e rispettata è necessario che ciascuno ne comprenda la funzione, ossia si renda conto che si tratta di una condizione utile per la vita della classe e non di una semplice decisione. Risulta significativo creare un momento di dialogo e confronto con gli allievi, chiaramente commisurato al loro livello di sviluppo, in modo che si sentano parte attiva nella definizione delle buone regole di comportamento e di organizzazione delle routine e delle attività della classe. È molto utile cercare di specificare in positivo i comportamenti attesi, invece che come semplici negazioni. Chiaramente le regole, una volta stabilite e concordate, vanno rispettate e fatte rispettare. L’invito che viene rivolto agli insegnanti, circa l’importanza di essere autorevoli e non autoritari, si gioca molto a questo livello, mettendo in pratico ciò che è stato stabilito per non perdere credibilità: questo vale non solo in relazione agli eventuali correttivi disciplinari per chi trasgredisce le norme, ma anche per i riconoscimenti volti a premiare i comportamenti positivi. Si tratta di avere una visione sistemica e circolare della propria classe, intesa non come la somma dei suoi componenti, ma come una totalità dinamica, in movimento. L’insegnante, adottando questo approccio, è portato a valutare il comportamento inadeguato dell’allievo come un tentativo di modificare le regole del gruppo, di sconvolgerle e di orientarle a suo esclusivo favore. La classe come contesto fisico accogliente Anche l’ambiente può contribuire al piacere di viverci o creare delle condizioni sfavorevoli per lo stabilirsi di un buon clima, per l’apprendimento e per le interazioni. Ad esempio l’effetto negativo del rumore può risultare particolarmente rilevante sugli insegnanti e sugli allievi, soprattutto in riferimento a quelli che presentano BES legati a specifici deficit, a disturbi dell’attenzione e dell’apprendimento e a particolari forme di svantaggio socioculturale. Un’altra variabile ambientale di rilievo è l’organizzazione spaziale delle aule, intesa come disposizione di banchi, sedie, cattedra e scelta degli arredi. L’esigenza è di poter disporre di spazi modulabili che possano L’obiettivo è sempre quello: - individuare soluzioni alternative ( pensiero divergente) - valutare le conseguenze delle soluzioni elencate ( pensiero consequenziale) - evidenziare le soluzioni che presentano maggiori benefici e minori costi ( pensiero causale- comparativo ). 1.3 Attivazione della risorsa compagni per l’inclusione e problem solving interpersonale Esempio di una lezione tratta da un progetto didattico finalizzato alla spiegazione del comportamento particolare di un bambino con disturbi dello spettro autistico con buona funzionalità cognitiva inserito in una seconda classe della primaria. Le lezioni avranno una durata di 45 minuti due vote alla settimana , quando il bambino con disturbo dello spettro autistico era coinvolto in attività di drammatizzazione in ina classe inferiore. I temi erano diversi ma sempre inerenti l’inclusione scolastica. 2. Educare all’aiuto: la prosocialità Per prosocialità s’intende promuovere un atteggiamento orientato alla valorizzazione degli aspetti positivi dei compagni, al rafforzamento dell’empatia e alla promozione di azioni di aiuto e sostegno che è la base sulla quale è possibile costruire un clima favorevole all’inclusione. Si tratta cioè di condotte finalizzate a favorire il benessere degli altri rispettandone le caratteristiche e le peculiarità personali. Le condizioni di base per la messa in atto di condotte prosociali fanno riferimento al possesso delle seguenti capacità:  abilità cognitive s’intende la capacità di leggere e interpretare lo stato di bisogno del compagno, di valutare la propria possibilità di portare un aiuto fattivo, di valutare e conseguentemente accettare il costo connesso all’emissione della condotta prosociale, di monitorare gli effetti della propria azione su di sé, sul compagno e su eventuali altre persone.  Empatia o sensibilità interpersonale, rappresenta la capacità di discriminare, comprendere ed assumere il punto di vista dell’altro ( nel nostro caso del compagno con Bes) dal punto di vista sia cognitivo che emozionale.  Assertività descrive la capacità della persona di affermare e perseguire i propri obiettivi sempre nel rispetto dell’interlocutore.  Autocontrollo del comportamento personale rappresenta una capacità fondamentale per la promozione e lo sviluppo di azioni prosociali. 2.1 programma di educazione alla prosocialità Roche e i suoi collaboratori hanno elaborato un programma educativo sulla prosocialità che si articola su un sistema di valutazione degli atteggiamenti prosociali e su una serie di esercitazioni sviluppabili all’interno dei curricoli di insegnamento delle diverse discipline per incidere sui seguenti fattori: - Valutazione positiva dell’alunno - Empatia - Espressione dei propri sentimenti - Creatività - Relazioni interpersonali - Non aggressività e non competitività - Modelli positivi - Collaboratività - Aiuto - Condivisione. Tale programma richiede il lavoro coordinato degli educatori ed è incentrato su lezioni, letture, presentazione di audiovisivi, discussioni, esercitazioni varie ed esperienze di Tutoring. Scopo: sensibilizzare gli alunni all’importanza di promuovere azioni di aiuto nei confronti degli altri e di acquisire gli strumenti per metterle in pratica nel contesto scolastico e negli altri ambienti di vita.  Inventario dei comportamenti prosociali nella scuola  Questionario di autovalutazione del comportamento prosociale nel contesto scolastico Cohen utilizza dei “centri di apprendimento”, nei quali gli studenti in gruppo lavorano in modo diverso su materiali differenti, ma collaborano attivamente fra loro. I gruppi sono solitamente formati da quattro o cinque allievi, selezionati casualmente con il solo controllo dell’effetto di status. Il ruolo assegnato all’insegnante ricalca sostanzialmente quello del metodo precedentemente descritto.  Student Team Learning→ Slavin descrive diversi metodi di apprendimento cooperativo che prevedono la competizione fra gruppi omogenei di abilità. Importante è la responsabilità individuale, in termini di miglioramento del rendimento di ognuno. Sono state individuate cinque tecniche principali di questo metodo:  Student Team Achievement Division (STAD): prevede che gli insegnanti presentino inizialmente un nuovo argomento alla classe. In seguito la classe viene divisa in gruppi eterogenei di quattro membri. Gli allievi del gruppo approfondiscono da soli le informazioni e quindi assistono gli altri compagni del team. La valutazione del lavoro dei gruppi avviene attraverso prove settimanali a somministrazione individuale con annotazione dei punteggi. I punteggi individuali vengono somministrati per formare i punteggi del gruppo. I risultati individuali e di gruppo vengono resi pubblici enfatizzando il miglioramento rispetto ai livelli precedenti.  Teams-Game-Tournaments (TGT): i gruppi guadagnano punti se si impegnano in competizioni su contenuti scolastici. La fase iniziale e simile allo STAD, dopo la presentazione degli argomenti, gli studenti sono impegnati in tornei settimanali. I punteggi ottenuti hanno lo scopo di sostenere la motivazione legata alla competizione e non vengono utilizzati per la valutazione di tipo scolastico.  Puzzle (JIGSAW): lavoro di gruppo nella quale gli studenti studiano individualmente parti di un contenuto diverse da quelle assegnate ai compagni del gruppo; le parti dell’argomento devono poi essere messe insieme per l’esito finale del lavoro. La procedura risulta più efficace quando l’obbiettivo didattico e quello di imparare concetti piuttosto che abilita. Dopo aver letto i fogli, alcuni studenti si incontrano in un “gruppo di esperti” temporaneo, composto da studenti che hanno studiato lo stesso argomento. Dopo un periodo di discussione, questi studenti ritornano nei rispettivi gruppi originali per insegnare agli altri membri tutto quello che sanno su quel tema. La valutazione e la stessa dello STAD e del TGT.  Team Assisted Instruction (TAI): programma di matematica che prevede l’utilizzo congiunto di apprendimento individualizzato o cooperativo. La premessa di base è che gli studenti meno bravi possono migliorare senza rallentare quelli bravi. Ciò si realizza mettendo studenti di livello basso, medio e alto in gruppi di quattro o cinque componenti. Le fasi di lavoro sono: ● Gli studenti vengono testati e posti in un punto appropriato di un programma individualizzato ● Lavorano in modo indipendente, ciascuno al proprio livello, e svolgono i loro compiti ● Si incontrano in gruppi, in cui scambiano documenti e relazioni, controllano le reciproche competenze matematiche, si aiutano a vicenda, ecce cc ● Compilano una prova di verifica individuale ● Al completamento dell’unità didattica, ogni gruppo riceve un punteggio complessivo ricavato dal numero medio di esercizi completati individualmente. Questa strategia risulta idonea a favorire l’integrazione scolastica di allievi in situazione di disabilità. Il ruolo dell’insegnante e quello di introdurre i concetti complessi.  Cooperative Integrated Reading and Composition (CIRC): apprendimento cooperativo specifico per l’insegnamento della lettura e della scrittura. I gruppi vengono formati, dopo una valutazione delle abilita di ogni alunno, da coppie con pari livello di competenze. Le componenti principali del CIRC cono tre: - Vengono proposti compiti di lettura, con gli studenti che possono aiutarsi a riconoscere gli elementi letterari di un brano, a predire come va a finire la storia, a raccontarla di nuovo - Gli studenti si aiutano nel redigere scritti o storie originali - E prevista la componente cooperativa, che implica il lavoro di due allievi provenienti da diversi gruppi di lettura che lavorano in coppia. Il CIRC si differenzia dalle proposte di Salvin per l’impiego di coppie di alunni di pari abilità che lavorano su un compito comune aiutandosi reciprocamente e correggendosi. ● Group Investigation → Sharan, Sharan e Hertz-Lazarowitz, cooperativeLearning centrato sulla ricerca. L’approccio enfatizza l’interdipendenza fra i gruppi. L’insegnante assegna un’area di studio e gli studenti, in gruppi da due a sei elementi, scelgono un argomento relativo all’ area di loro interesse. Attraverso una programmazione fatta in cooperazione, l’insegnante e gli studenti decidono come indagare l’argomento e vengono poi assegnati i compiti di gruppo. Ogni membro del gruppo svolge una ricerca individuale, poi il gruppo riassume i risultati e prepara un’interessante presentazione da fare alla classe intera. La valutazione riguarda sia gli sforzi individuali che quelli di gruppo e di basa sulla capacita degli studenti di usare le abilita di ricerca. L’applicazione e la sintesi vengono molto enfatizzate con questa tecnica. ● Structural Approach → Kagan e Kagan hanno elaborato un modello di apprendimento cooperativo incentrato sui seguenti principi fondamentali: l’interazione simultanea; l’uguaglianza della partecipazione; l’interdipendenza positiva; la responsabilità individuale. Le attività cooperative possono assumere una diversa conformazione in relazione a tre elementi: l’agente, il tipo di azione e il ricevente. Gli autori ritengono che i gruppi debbano essere selezionati in maniera da risultare eterogenei e suddivisi in coppie (sconsigliano gruppi da tre per il rischio che due si uniscano e lavorino in coppia escludendo il terzo). Grande rilevanza riveste l’insegnamento diretto delle abilità sociali. La valutazione e incentrata sui progressi individuali, monitorati secondo modalità decise dall’insegnante, i quali vanno poi a costruire la base per la valutazione di gruppo. Il ruolo riservato all’insegnate non si discosta da quelli già analizzati negli approcci precedenti. Capitolo 11 Strategie cognitive e metacognitive Le strategie cognitive e metacognitive consistono in percorsi didattici per favorire l’acquisizione di conoscenze, abilità e competenze, supportando gli allievi nell’organizzazione delle informazioni e nel collegamento delle stesse con quanto già padroneggiato. Si tratta di percorsi applicabili in tutti gli ambiti curricolari che facilitano l’impiego di risorse cognitive personali e riflessioni sulle procedure e le utilità di queste. La maggior parte degli individui sviluppa abilità cognitive attraverso l’esperienza di vita; altri, invece, non appaiono capaci di impiegare strategie efficaci, perché non conoscono le procedure da utilizzare. Vengono illustrate nel capitolo le metodologie didattiche che possono favorire lo sviluppo di un approccio strategico ai compiti e una capacità di riflessione metacognitiva. Strategie di potenziamento della memoria, didattica metacognitiva e procedure per acquisizione metodo di studio, training sulle funzioni esecutive, strategie di autoregolazione, flipped classroom. Processi cognitivi implicati nell’apprendimento Nel rettangolo interno sono inseriti i processi cognitivi che vengono definiti “guidati dai lati”, cioè che si manifestano nel momento in cui una persona è chiamata a effettuare una prestazione conseguente a una situazione che lo stimola a operare. Nell’ellissi interna sono citate una serie di capacità e condizioni personali che sono in grado di condizionare i processi nel rettangolo. Per ultimo, va considerata l’importanza del patrimonio di conoscenze e abilità possedute dall’individuo e del ruolo esercitato dal contesto sociale e culturale. Le strutture sono arricchite, modificate e ristrutturate, da qui il carattere dinamico dell’acquisizione della conoscenza. 1.1 Attenzione, memoria di lavoro e processi esecutivi L’attenzione è una funzione essenziale per operare una scelta fra vari stimoli, interni ed esterni, per elaborare associazioni ideative e per esercitare un controllo sui programmi d’azione e di comportamento. Rappresenta una funzione estremamente articolata. Ogni atto attentivo si articolare in tre fasi che prevedono l’orientamento verso gli stimoli, la loro elaborazione e la risposta scientifica. La fase di elaborazione presenta un’organizzazione multidimensionale con specifiche funzioni: selettività, stabilità, shift, capacità. La selettività è la capacità di inibire tutte le fonti di stimolazione irrilevanti. Assolve anche al compito di dare un ordine di priorità alle procedure da mettere in campo. La stabilità (attenzione sostenuta) porta in primo piano un’altra caratteristica: mantenersi per un certo tempo centrati su un compito o su un’attività, al fine di consentirne l’espletamento. Le ultime due dimensioni dell’attenzione, strettamente integrate fra loro, fanno riferimento alla possibilità di spostare rapidamente il focus in relazione alle richieste (shift) e a quella di avere un volume o capacità attentiva per poter affrontare le diverse situazioni. La memoria di lavoro è un sistema deputato al mantenimento e all’elaborazione temporanea delle informazioni mentre si effettuano compiti cognitivi. Permette di mantenere vivo il ricordo degli elementi con i quali si viene a contatto, per poterli utilizzare ai fini di un obiettivo. Es. se chiediamo ai nostri allievi di leggere un brano con la finalità di capirlo e di rispondere ad alcune domande, essi devono mantenere in memoria vari elementi. Questo sistema è stato configurato come composto da più componenti deputate a compiti di mantenimento ed elaborazione di specifiche informazioni: - esecutivo centrale - ciclo fonologico - taccuino visuospaziale - buffer episodico L’esecutivo centrale rappresenta il nucleo della memoria di lavoro che svolge funzioni attentive, di controllo e decisione. Rappresenta la componente deputata a sovrintendere al funzionamento dei due sistemi periferici specializzati nell’elaborazione di particolari tipologie di materiale: linguistico “il ciclo fonologico” e visuospaziale “il taccuino”. Risulta di complessa definizione, anche se sono stati proposti vari modelli interpretativi: Il modello di Norman e Shallice: la maggior parte delle attività sarebbe controllata da schemi, insiemi di azioni che una volta innescate dagli stimoli, sarebbero eseguite automaticamente. Quando due o più schemi vengono attivati in contemporanea, entrano in conflitto e il risultato tenderà a inibire l’altro. Questo meccanismo di selezione di schemi abituali viene definito contention sheduling (catalogazione competitiva). Esiste anche un sistema superiore di controllo volontario denominato: “Sistema attentivo supervisore” (SAS): ha accesso alla rappresentazione dell’ambiente, alle capacità cognitive e alle intenzioni dell’individuo, opera modulando i livelli inferiori del sistema di catalogazione delle decisioni attraverso l’attivazione o inibizione di schemi particolari. Questo livello di controllo è necessario per affrontare situazioni nuove, inibire stimoli poco funzionali, prendere decisioni o pianificare strategie, cioè quando una selezione abituale delle azioni può risultare insoddisfacente per il raggiungimento dello scopo. Si tratta di un ambito di competenze particolarmente complesse indicate come funzioni esecutive. Il compito di queste funzioni consiste nel coordinare processi attuati da altre aree del cervello e sono fondamentali quando: - aumenta la difficoltà del compito; ritardati sono ritardati? Seconda posizione teorica: i soggetti con deficit cognitivi si caratterizzano per il mancato utilizzo spontaneo dei sistemi di elaborazione delle informazioni. Le ricerche mettono inoltre in evidenza la possibilità di progressi consistenti da parte di allievi con deficit mentali nel momento in cui vengono educati con opportune metodologie. La contrapposizione tra la teoria del deficit strutturale e quella relativa ai limiti nei processi di controllo, non è completamente risolta neanche dai riscontri delle sperimentazioni recenti: sebbene depongano a favore della possibilità di miglioramento, si evidenziano frequenti difficoltà nel mantenere e generalizzare le acquisizioni. Per Baumeister è ragionevole pensare all’esistenza di limiti strutturali invalicabili, ma il ricorso alle strategie sembra in ogni caso migliorare le prestazioni dei soggetti. Tale approccio deve unirsi a modalità didattiche semplici, incentrate su training esercitativi e potenziamento della memoria procedurale implicita. Il curriculo persegue tre obiettivi principali: - conoscenze delle strategie; - procedure metacognitive di controllo; - atteggiamenti generali verso le strategie. Alcune proposte relative alla prima linea di lavoro (conoscenza delle strategie di memoria): - strategia di organizzazione semantica in categorie: fa riferimento alla possibilità di rievocare più facilmente del materiale quando lo stesso viene organizzato in gruppi di elementi che appartengono a una stessa categoria. Il programma di lavoro, per ogni strategia di memoria, prevede due itinerari didattici: - il curriculo prerequisiti da adottare quando si vogliono insegnare strategie per le quali l’allievo manifesta deficit molto gravi. Non sono previsti compiti mnestici, solo modalità di organizzazione dei materiali in relazione alla strategia. - il curriculo strategico, basato su una serie di esercitazioni di memorizzazione e recupero, da adottare per deficit lievi. Il programma prevede, inoltre, una serie di compiti scolastici e di vita quotidiana utili per favorire il transfer di apprendimento delle strategie su situazioni concrete. Vi è il passaggio da esercitazioni mnestiche (uso delle strategie sollecitato dall’educatore) ad attività di ricordo autonomo. Vengono proposti inizialmente compiti di riconoscimento e, in seguito, compiti più complessi di rievocazione. Riconoscimento e rievocazione sono le due modalità fondamentali di lavoro della memoria: nel primo caso l’allievo è aiutato dal fatto che le cose da ricordare vengano di nuovo messe a sua disposizione, ma devono essere discriminate da altre con cui sono mescolate. Nel secondo caso l’allievo è chiamato a ricordare utilizzando esclusivamente i propri mezzi. 3. La didattica metacognitiva L’approccio metacognitivo si prefigge un obiettivo largamente condiviso nel campo dell’apprendimento e dell’educazione in generale: offrire l’opportunità di imparare a interpretare, organizzare, strutturare le informazioni ricevute dall’ambiente e la capacità di riflettere su questi processi per divenire sempre più autonomi. L’intenzione dell’insegnante è formare quelle abilità mentali sovraordinate che vallo al di là di semplici processi primari. Si deve sviluppare nel soggetto la consapevolezza di quello che sta facendo, del perché lo fa, di quando è più opportuno farlo e in quali condizioni. L’approccio metacognitivo tende a formare la capacità di essere gestori dei propri processi cognitivi. Imparare ad imparare è dunque l’obiettivo di ordine superiore al quale si mira. La didattica metacognitiva ha dimostrato la sua efficacia sia per l’affinamento di competenze trasversali (attenzione, memoria, metodo di studio) sia per l’apprendimento di abilità più prettamente curriculari (lettura, comprensione, matematica, scrittura). Tali riscontri positivi si sono osservati anche con allievi che presentano BES. Esempio: promuovere un funzionale metodo di studio non significa insegnare il metodo di studio, ma guidare gli allievi a riflettere sulle procedure più adeguate per elaborare, memorizzare e recuperare contenuti scolastici; promuovere la consapevolezza rispetto ai processi cognitivi e il controllo sugli stessi. Linee guida: creare organizzatori anticipati; utilizzare strategie specifiche; promuovere problem solving mnestico. L’operatore che adotta un approccio didattico di tipo metacognitivo può operare a quattro diversi livelli: - sulle conoscenze relative al funzionamento cognitivo generale; - sull’autoconsapevolezza del proprio funzionamento cognitivo; - sull’uso di strategie di autoregolazione cognitiva; - sulle variabili psicologiche sottostanti. 3.1 Conoscenze sul funzionamento cognitivo generale L’educatore fornisce all’allievo informazioni generali sul funzionamento della mente umata, adattandole alla capacità di comprensione del soggetto. L’obiettivo è quello di favorire la strutturazione di una teoria della mente, con conoscenze relative a tutta una serie di processi cognitivi e affettivo-emozionali: percezione, attenzione, memoria, emozioni, ecc. In ognuno di questi processi vanno considerati tre aspetti particolari: - funzionamento generale tipico; - limiti del processo, la sua entità, caratteristiche e variabilità individuale; - possibilità di influenzare attivamente lo svolgimento del processo cognitivo con strategie di vario tipo. Promuovere un metodo di studio funzionale alle caratteristiche del singolo individuo. Anche con allievi che presentano disabilità intellettiva è possibile spiegare aspetti del funzionamento cognitivo, seppur a un livello non troppo sofisticato. Si possono portare gli allievi a distinguere fra fatti reali e sensazioni, sogni, aspettative; attribuire stati mentali alle altre persone; adattamento del comportamento sulla base di credenze e false credenze. 3.2 Autoconsapevolezza del proprio funzionamento cognitivo Il secondo livello prende in considerazione il funzionamento della mente del bambino, distinta da quella generale considerata in precedenza. L’allievo viene aiutato ad apprezzare le capacità e i limiti della propria mente, nel momento in cui vengono messi in atto i processi cognitivi di diversa natura. L’educatore gioca un ruolo importante poiché fornisce i feedback sulle prestazioni dell’alunno e lo stimola a indagare aspetti connessi al modo in cui i compiti sono condotti e i processi personali vengono attivati. Molto utili e interessanti sono le strategie di autoistruzione e automonitoraggio di cui si parlerà in seguito, che consentono di evidenziare i momenti strategici connessi alla risoluzione del compito e di auto valutare le proprie prestazioni e i propri progressi. 3.3 Strategie di autoregolazione cognitiva Si tratta del tentativo di guidare l’allievo nel controllo dei propri processi cognitivi finalizzati alla risoluzione di compiti. I momenti che caratterizzano questo processo sono i seguenti: - fissarsi un obiettivo chiaro e specificarlo (risultati e modalità di svolgimento); - darsi delle istruzioni per le operazioni pianificate; - osservare l’andamento del processo di apprendimento, raccogliendo dati; - confrontare dati raccolti e evoluzione del processo; - prendere decisioni circa l’opportunità di continuare le azioni o correggerle. Fra le strategie di autoregolazione cognitiva, quelle che appaiono più facilmente utilizzabili anche con allievi che presentano BES sono l’autoistruzione e l’automonitoraggio. 3.4 Variabili psicologiche di mediazione Alcune variabili psicologiche, come gli stili di attribuzione, la percezione di autoefficacia, l’autostima, la motivazione, condizionano abbondantemente la capacità del bambino di adottare un atteggiamento metacognitivo di attivare processi metacognitivi di controllo. E’ importante sviluppare linee di azione che tengano in considerazione queste variabili e che aiutino a sviluppare una percezione positiva di sé nell’allievo. 4. Strategie didattiche per le funzioni esecutive Che cosa determinano i deficit nelle funzioni esecutive: - Disfunzioni esecutive riguardanti la sfera attentiva, con allievi incapaci di inibire stimoli e pensieri distraenti (distratto) o con comportamenti ripetitivi (rigido). - Disfunzioni riguardanti la memoria di lavoro, con allievi con difficoltà quando il compito richiede l’esecuzione in sequenza di una serie di passi (disorganizzato), o presentano dipendenza dal contesto (contestuale). - Disfunzioni riguardanti la sfera emozionale, con allievi che mostrano una ridotta capacità di tollerare le frustrazioni e ritardare la gratificazione (impulsivo), o che si presentano emotivamente indifferenti agli eventi (apatico). Tutto questo richiede l’esigenza di promuovere azioni didattiche orientate al potenziamento di tali funzioni, attraverso un approccio indirizzato a tutta la classe, con finalità di consolidare competenze cognitive e prevenire eventuali problemi di apprendimento in un contesto inclusivo. Metzler, Pollica e Barzillai suggeriscono alcuni principi operativi che richiamano l’esigenza di: La metodologia prevede tre momenti di inversione: 1. Il primo è legato alla visione preliminare, fatta fuori dalla scuola, di video predisposti dal docente o disponibili in rete e alla consultazione di materiali vari attinenti all’oggetto di studio. Nuovi canali di comunicazione, ampia e aperta disponibilità di risorse educative. I vantaggi sono: gli studenti hanno in mente quello che si farà in aula, alcuni avranno dubbi e saranno in grado di fare domande precise sull’argomento, qualcuno potrà essere d’aiuto per spiegare argomenti ai compagni in difficoltà, sarà necessario poco tempo per riepilogare e riprendere l’argomento. Secondo Ausubel, un insegnamento preliminare può rappresentare la base per la costruzione degli “organizzatori anticipati” i quali aiutano gli allievi a mettere in relazione le nuove conoscenze con quelle già possedute. La facilitazione connessa alla costruzione di organizzatori anticipati riguarda il recupero della memoria a lungo termine delle conoscenze utili e il contatto alleggerito con le varie informazioni. 2. La seconda inversione riguarda i compiti: vengono portati da casa a scuola. L’insegnante si trova con più tempo a disposizione e può variare l’approccio didattico rendendolo più interattivo e maggiormente vicino agli interessi di ognuno. La lezione frontale assume una valenza meno rilevante in confronto al lavoro di esercitazione e approfondimento, che porta all’interiorizzazione delle conoscenze e delle abilità e al loro esercizio. 3. La terza inversione riguarda il processo valutativo: diventa condizione didattica integrata strettamente all’effettuazione delle attività in classe. L’attività svolta in classe è monitorata dunque comprende la valutazione e può dar luogo a interessanti forme di autovalutazione e alla costruzione di un portfolio personale. Per quanto riguarda le prospettive che la metodologia offre al livello inclusivo, riguardano tutti i momenti di capovolgimento. L’analisi individuale dei materiali permette la considerazione delle differenze che caratterizzano ogni gruppo di allievi. Possono essere predisposti materiali diversi, per difficoltà di contenuti e/o per tipologia; oltre ciò ogni allievo può organizzare il proprio studio personale con il ritmo che trova più congeniale. Il secondo momento di attività si presta all’attivazione di forme di didattica inclusiva. Il maggior tempo riservato ad attività individuale e di gruppo facilitano il supporto specifico ai singoli allievi. Anche le forme di valutazione specifica sono in grado di portare in primo piano e valorizzare tutte le differenze che caratterizzano il gruppo classe. L’EDUCAZIONE DELLE EMOZIONI ( cap 12) La creazione di un clima positivo, la possibilità di stabilire adeguate relazioni e collaborazioni all’interno e fuori della classe, la disponibilità nei confronti degli altri dipende anche dall’adeguata gestione della dimensione emozionale della persona, che, insieme a quella più prettamente cognitiva, regola,orienta e controlla il comportamento di ogni individuo. Le emozioni rappresentano dei sistemi integrati di risposte fisiologiche, cognitive e comportamentali, le quali possono contribuire a perseguire gli obiettivi personali o, quando gestite in maniera inadeguata, risultano in grado di sabotare radicalmente il raggiungimento di tali finalità. L’obiettivo di promuovere un contesto classe inclusivo, nel quale tutti si trovino a star bene e a perseguire positivamente il successo formativo, richieda di considerare anche l’esigenza di educare in modo opportuno questa dimensione, insegnando agli allievi a gestire in modo efficace le proprie emozioni. La dimensione emozionale: definizioni, architettura, funzioni Gli anni 90 del secolo scorso sono stati caratterizzanti dall’emergere di un filone di studi sulla componente emozionale. Goleman, ha messo in evidenza come il corretto funzionamento individuale, a livello sia cognitivo che comportamentale, dipenda dal giusto equilibrio tra competenze cognitive e abilità emotive. Cosa sono le emozioni A partire dal lungo lavoro di William James di fine ottocento , sono stati evidenziati vari elementi che contraddistinguono la sfera emozionale. Negli ultimi periodi, la sempre più chiara declinazione delle complessità e multifattorialità tipico dell’evento emotivo ha portato verso la ricerca di una visione capace di creare una sintesi fra le diverse dimensioni , in cui si intrecciano elementi biologici, psichici e sociali. Infatti, la capacità dell’individuo di valutare cognitivamente la situazione e di attivare l’organismo per attivare l’organismo per esprimere una risposta emotiva, in grado di risultare rapida e funzionale agli obiettivi personali, richiede una serie di comportamenti che fanno riferimento sia alla dimensione emozionale che a quella cognitiva, relazionale in interazione fra loro e in grado di influenzarsi. Definizione di Fedeli: le emozioni sono dei sistemi integrati fisiologico-cognitivo-comportamentali, la cui funzione è quella di favorire il perseguimento degli obiettivi personalmente significativi, gestendo in modo rapido e efficace le transazioni con l’ambiente e ottimizzando i livelli di attivazione e di elaborazione individuali. La gestione delle transazioni con l’ambiente si riferisce alla capacità di rispondere in modo molto rapido, sulla base di alcuni segnali ambientali, spostando le risorse dell’individuo da un’attività all’altra. Le emozioni sono interpretate come il modo in cui il nostro cervello elabora informazioni ambientali in modo celere, consentendo il passaggio da un modulo ad un altro. Le emozioni non si limitano soltanto a organizzare il comportamento individuale in base alle contingenze ambientali, come in una situazione di pericolo, ma possono guidare in modo proattivo la pianificazione comportamentale. Le emozioni contribuiscono, inoltre a regolare i livelli di attivazione delle risorse personali, nel senso che sono in grado di recuperare , orientare le funzioni cognitive e motorie per assicurare una buona prestazione, contribuendo anche a resistere alla stanchezza e alla tentazione di sospendere il compito per passare ad attività più gradite. Quindi le emozioni non sono connesse solo a fattori ambientali che l’individuo percepisce, ma anche a immagini delle quali, come avviene nei bambini piccoli, può anche non essere del tutto consapevole. La dimensione emozionale L’obiettivo di arrivare alla delineazione di alcune linee di lavoro didattico per promuovere un’adeguata regolazione emozionale richiede la definizione di alcuni aspetti : le differenti tipologie di emozioni ( distinzione tra primarie e secondarie); la necessaria differenziazione fra termini e concetti che rimandano fenomeni diversi. Le emozioni primaria consentono al neonato di proteggersi da stimolazioni negative e di adattarsi progressivamente alle richieste dell’ambiente ( Rabbia, paura felicità, tristezza, disgusto). Le emozioni secondarie, invece sono tutte quelle che intervengono in seguito e che possono essere influenzate anche dai condizionamenti culturali e dai processi educativi ( vergogna, senso di colpa, orgoglio, imbarazzo ecc). è fondamentale il ruolo dell’amigdala, un piccolo nucleo collocato nella porzione anteriore del lobo temporale, che rappresenta un vero e proprio crocevia della emozioni, in quanto è capace di integrare segnali provenienti dall’ipotalamo e dalla corteccia cerebrale sulla base del loro valore emotivo. L’informazione visiva arriva prima all’amigdala e poi trasmessa ai centri del tronco encefalico che mediano risposte rapide. Una scansione più lenta e più precisa dello stimolo visivo viene operata in parallelo dalla corteccia visiva e l’informazione estratta viene usata dal processo decisionale di tipo razionale. La mente emozionale quindi, è più rapida di quella pensante perché il meccanismo che valuta queste percezioni è velocissimo. “Trasferendo questo concetto a livello scolastico, l’insegnante non può certo decidere quale emozione deve provare il suo allievo, in quanto tutte le emozioni hanno legittimità o illegittimità del loro modo di esprimersi .” ( Morganti). La differenza tra emozioni primarie e secondarie risiede nel fatto che le prime dipendono da circuiti già presenti alla nascita e in gran parte iscritti in strutture sottocorticali, che si attivano anche in presenza di poche stimolazioni; viceversa , le emozioni secondarie si fondano su circuiti più complessi, con un ruolo centrale giocato da aree corticali e richiedono delle stimolazioni più articolate per attivarsi. Lo stato d’animo o umore, a differenza dell’emozione si caratterizza come una condizione maggiormente duratura nel tempo, che non fa direttamente riferimento a cause scatenanti e che subisce influenze cognitive e culturali. L’emozione è breve, intensa e transitoria . lo stato d’animo invece è invece una modalità affettiva più duratura, più stabile, più complessa e ricca di aspetti cognitivi e valutativi, spesso senza la presenza di oggetti esterni o interni che stimolano direttamente emozioni specifiche. Il sentimento è una sorta di tensione affettiva nei confronti di qualcosa alla quale viene assegnato valore, una consapevolezza, in concreto, dell’emozione provata. Quindi mentre l’emozione rappresenta l’insieme delle reazioni corporee, comportamentali e cognitive, il sentimento emerge nel momento in cui l’individuo prende coscienza del legame esistente . L’intelligenza emotiva L’idea di base è che l’intelligenza emotiva faccia riferimento all’interazione tra meccanismi emotivi e cognitivi di base e pertanto, debba essere concettualizzata come la capacità di processare i n maniera adeguata informazioni emotive e di utilizzarel, in associazione alle attività cognitive , per agire opportunamente nell’ambiente. Articolazione delle abilità che compongono l’intelligenza emotiva : - Percepire, valutare ed esprimere le emozioni - Usare le emozioni per facilitare il pensiero - Capire le emozioni nelle diverse situazioni sociali - Gestire e regolare le emozioni Goleman considera l’intelligenza emotiva come un insieme di capacità che consentono di riconoscere i sentimenti personali, e quelli degli altri , motivarsi e gestire positivamente le emozioni, tanto nella dimensione individuale quanto in quella relazionale. Per Goleman l’intelligenza emotiva racchiude 5 domini: - Autoconsapevolezza delle proprie emozioni - Controllo delle emozioni - Automotivazione - Riconoscimento delle emozioni degli altri ( empatia) - Gestione positiva delle relazioni interpersonali L’autoregolazione emotiva Appare come una competenza trasversale da esercitare a tutte le età, per portare il bambino a una sempre più fine capacità di regolazione delle emozioni . le principali strategie utilizzabili per favorire l’autoregolazione emotiva fanno rif. Ai diversi livelli di controllo e di interazione con l’ambiente. Altra stategia per escludere o attenuare l’impatto di condizioni emotivamente problematiche fanno rif. All’evitamento( concentrandosi su un’attività differente da quella che sta generando l’emozione negativa) . dal punto di vista fisiologico e comportamentale si può cercare di rallentare il ritmo respiratorio, attraverso respiri lenti e profondi, oppure contare sottovoce per fra passare il tempo e allentare la tensione. Queste e altre operazioni possono consentire un controllo del comportamento , senza attivare reazioni immediate che potrebbero risultare negative. Per far sì che l’autoregolazione emotiva avvenga è fondamentale l’azione degli adulti ( insegnanti e genitori) , anche per quello che concerne la loro capacità di essere modelli positivi, sapendo prima di tutto gestire opportunamente le proprie emozioni. Come educare alle emozioni nella prospettiva dell’inclusione 2. Computer come macchina per pensare: tale visione è dettata dall’esigenza di sottrarre l’allievo dalla posizione di passività. Per i pedagogisti è importante che l’allievo non solo usi il computer, ma che studi l’informatica (in particolare i linguaggi di programmazione) fin dai primi passi del suo percorso formativo. Oggi il coding è supportato da un nuovo interesse di afflato internazionale e da pratiche orientate a realizzare l’accesso al pensiero computazionale già nei primi anni di studio (scuola primaria). 3. Computer come strumento per comunicare: la terza fase, caratterizzata dalla diffusione dell'ipermedialità e interattività su internet, è dovuta principalmente all’evoluzione dei servizi web e dell'approccio agli stessi da parte degli utenti. Negli anni 90, con il passaggio dal web 1.0 al web 2.0, abbiamo una svolta epocale, le tecnologie permettono a tutti senza necessità di competenze informatiche, di aggiungere contenuti, gestire siti, fruire della componente interattiva. Oggi si registra un’ulteriore passo in avanti indicato come web 3.0. La rete e i suoi servizi offrono la possibilità di interagire con le più diverse realtà, con nuove modalità di esplorazione, condivisione e “costruzione” delle conoscenze. C’è la possibilità di manipolare in tempo reale e a costi esigui il multimedia, di creare ambienti in grado di ospitare gruppi e comunità di pratica, di condividere all'istante una qualsiasi risorsa e di lavorare contemporaneamente sullo stesso documento. Senza dimenticare l’area della formazione continua, con la possibilità di predisporre seminari, percorsi online, teledidattica. 4. Computer come supporto integrato alla didattica: questa è una prospettiva che vede una concreta opportunità nell’incontro di tre fattori concorrenti: a. L’accesso sempre più agevole ed economico alle potenzialità fornite dalla rete e dai servizi web. b. La moltitudine di dispositivi disponibili a costi sostenibili. c. La facilità di promuovere didattiche multimediali interattive dovuta ai software sempre più funzionali. Il computer come supporto integrato alla didattica I progressi tecnologici e le comunità digitalmente attive del mondo scolastico in questi ultimi anni hanno modificato le pratiche didattiche orientate verso una nuova dimensione. Si pensi alla diffusione nelle classi della Lim o dei pedagogical device, (dispositivi come pc, tablet, smartphone, utilizzati a fine didattico) e nell'uso di questi strumenti, non quale semplice sostituzione dei proiettori, ma come supporto alla progettazione, creazione e conduzione dell’attività didattica. Tre aspetti critici nel passato hanno creato una certa frustrazione agli insegnanti coinvolti verso l’innovazione digitale: 1. L’accesso alla rete. 2. Supporti hardware, ovvero la nascita e la diffusione di dispositivi sempre più contenuti nelle dimensioni, ma dalle prestazioni performanti. L’idea che gli studenti utilizzino i propri dispositivi personali sul loro “posto di lavoro”, cioè la scuola, è un obiettivo facilmente praticabile (forse per la scuola secondaria), ma complesso per quella primaria. Oltre a una prevedibile resistenza da parte dei genitori a consegnare nelle mani dei propri figli smartphone o tablet, si aggiunge la difficoltà, da parte dell’insegnante, di utilizzare i software per la gestione di questi dispositivi mobili. 3. Multimedia Interactive activities editors. Sono web applications o applicazioni desktop. Si tratta di una nuova tipologia di software in grado di strutturare, assemblare, adattare, organizzare e fruire, in modo flessibile, contenuti e sussidi didattici prima, durante e dopo la lezione. L’insegnante ha tutti i mezzi per adattare le potenzialità digitali alle proprie strategie didattiche. Il processo di insegnamento-apprendimento Ciò che accade nel pianeta scuola è stato da sempre oggetto di studio, negli ultimi anni, abbiamo la possibilità di riferirci e ricorrere a una serie di metanalisi orientate all’Evidence Based. Le ricerche rispettano, una rigorosa metodologia sperimentale e presentano i risultati nella misura dell’effetto, attraverso l’indice Effect Size (ES) che rivela un presunto significato con valori da 0,40 in su. Ciò che emerge in merito all’impiego delle tecnologie e la loro ridotta influenza positiva, fatta eccezione per i metodi che utilizzano i video interattivi (0,52). Le tecnologie come supporto didattico (ES 0,42) Risultano più significative rispetto a un impiego per l’istruzione diretta (ES 0,31). 2. Le tecnologie e il modello per l'adattamento dei curricoli didattici Con l'UDL, l'approccio verso il curricolo si amplia per superare la visione assistiva e compensativa verso la disabilità, con una prospettiva ribaltata: non è lo studente il disabile, ma i curricoli quando non sono adeguati a soddisfare efficacemente le differenze individuali di tutti gli studenti. Ogni allievo è unico e irripetibile, sia nelle potenzialità cognitive che nelle difficoltà. Nonostante venga sottolineato come le tecnologie non debbano essere considerate unico mezzo di applicazione delle indicazioni contenute nella struttura UDL, la loro caratteristica flessibile, nelle mani creative di insegnanti esperti, le rende sicuramente un tassello chiave per capire, orientarsi e coinvolgersi con l’ambiente di apprendimento. Possiamo immaginare quanti strumenti digitali sono oggi disponibili per supportare metodologie e tecniche che emergono per aver registrato un alta efficacia, come gli “anticipatori” (ES 0,43), le mappe concettuali (ES 0,57), i feedback insegnante-allievo (ES 0,73), l'istruzione diretta (ES 0.59), il Peer Tutoring (ES 0,55) e altri ancora. Modalità di presentazione Nella progettazione di un’unità didattica per la scuola primaria stabiliamo gli obiettivi e le competenze da raggiungere, definiamo i criteri di valutazione, si predispongono poi i materiali e contenuti tenendo in considerazione le possibili differenze riscontrabili nel gruppo classe: cognitive, sensoriali, linguistiche e socio culturali. Diventa fondamentale la cura nell’adozione del testo in virtù dell’offerta integrativa digitale, che comprende spesso dei veri e propri software interattivi forniti di strumenti che possono rivelarsi utili a sostenere lezioni ad alto grado di “inclusività”. Dopo il lavoro di analisi dei sussidi digitali disponibili, potremmo usufruire degli strumenti a disposizione per la classe, per ovviare alle eventuali carenze dei contenuti e per semplificare il testo. Le strategie possono prevedere: l’evidenziazione delle parole chiave, link di supporto al lessico, schemi, mappe, immagini e video di approfondimento, evidenziazione dei collegamenti concettuali. Terminata la preparazione del materiale possiamo passare alla predisposizione dei supporti compensativi ad esempio:  Mediatori e anticipatori didattici (ES 0,43): Immagini, riepiloghi, schemi, sintesi, quesiti ecc… In aiuto come “organizzatori cognitivi” e per l’attivazione delle preconoscenze utili alla comprensione dei nuovi contenuti.  Mappe concettuali (ES 0,57): Sono molti i software o i servizi web gratuiti che permettono di realizzare agevolmente mappe mentali, cognitive e concettuali.  Sintetizzatore vocale o preparazione di audio video lezioni registrando il contenuto dei testi sulla pagina o, in alternativa, allegando file audio video esterni. Prevedere modalità per presentare fisicamente allo studente, per un approccio esplorativo e manipolativo, strumenti e oggetti relativi all’argomento trattato, in particolare per l’istruzione di discipline come la matematica, la geometria e la scienza, non è sempre possibile. In questi casi possiamo ricorrere nuovamente alla tecnologia con l’utilizzo di risorse in forma di oggetti virtuali in modo da coinvolgere gli studenti attivamente. Sono strumenti di simulazione interattiva, manipolatori virtuali. Mezzi di azione/espressione e modalità di elaborazione Siamo in classe e stiamo iniziando la lezione programmata, parte dell’attività verrà affrontata frontalmente e parte attraverso un lavoro di gruppo, ad esempio in Cooperative Learning (ES 0.59). Abbiamo la possibilità di utilizzare la lim in classe. L'alunno potrà iniziare a seguire la lezione, sia dal banco sul libro di testo, sia alla lavagna. Tale strategia permetterà all’allievo di familiarizzare con gli strumenti forniti dai supporti digitali adottati, favorendo in tal modo anche l’autonomia per i compiti a casa. Gli alunni ci osservano, registrano le procedure che mettiamo in atto quando operiamo per migliorare il testo del libro digitale, per inserire nuove spiegazioni, evidenziare i collegamenti logici. Quindi memorizzano e fanno proprio il nostro metodo di lavoro, si abituano a usare le potenzialità dei libri digitali. Prima di passare a momenti di verifica o alle attività di gruppo progettate, ripercorriamo a ritroso con gli studenti la successione delle pagine alla lavagna, un modo per ripassare gli argomenti trattati, riflettere sul percorso terminato, e verifichiamo, se ci sono contenuti nuovi da riversare su audio. L’idea è che queste registrazioni o altri adattamenti, vengano eseguite in classe a torno, dagli stessi alunni così da:  Conferire loro un maggior grado di responsabilità e partecipazione nella preparazione del materiale di studio.  Conferir loro abilità specifiche, competenze, spendibili sia per le attività scolastiche che per altri interessi personali.  Ripassare alcuni contenuti della lezione.  Originare momenti di “silenzio rigeneratore” durante le registrazioni audio. È ora necessario attivare strategie per tutta la classe, come ad esempio:  Garantire flessibilità, nei ritmi, nei tempi e nella velocità di risposta: usare con cautela quiz- esercizi a tempo che creano frustrazione ai soggetti più lenti.  Fornire aiuti visivi al compito: proiettare sulla lim indizi, suggerimenti, strategie o modelli per spiegare il compito, stabilire priorità o sequenze, monitorare i tempi per ogni step.  Fornire sistemi di controllo della valutazione: visualizzare liste di controllo o rubriche con i criteri di valutazione, fornire agli studenti differenti modelli che guidano l’auto valutazione.  Modalità di interazione al compito: alcuni studenti sono più propensi a recarsi alla lavagna per l’esecuzione del compito, altri invece sono restii ad esporsi, dobbiamo tener conto degli aspetti emotivi, prevedendo delle modalità disposta alternative. Passando ora alle attività di gruppo di questa ipotetica simulazione didattica, sarà proprio all'interno dei singoli gruppi e in funzione di ruoli diversi, che il soggetto con disabilità intellettive o BES, fruendo di tecnologie adeguate, si troverà nelle condizioni di produrre prestazioni simili a quelle dei compagni, in un concorso di interazioni in cui anche le attenzioni verso la dimensione socio emotiva faranno da collante tra i membri. La lavagna digitale continuerà a mantenere un ruolo attivo, con la proiezione delle schede d'aiuto al compito, guide per la gestione delle fasi di percorso e altri gadget digitali utili per la classe. Queste e altre condizioni analoghe rappresentano le diverse occasioni che, condotte con competenza dell’insegnante e mediate tramite il ricorso alla tecnologia, costituiscono dei momenti di crescita in termini di autocontrollo e sicurezza personale. Al termine delle attività dobbiamo garantire a tutti gli studenti coinvolti e anche agli assenti, di poter ripercorrere la lezione registrata, accedere ai materiali per lo studio-esercitazioni. Poter eseguire i compiti di casa attraverso l'uso delle stesse “schede attività” presentate con la lim e condivise con la classe è un valore aggiunto. Pone l’alunno nelle condizioni di usare a domicilio gli stessi strumenti usati in classe, acquisendo quelle familiarità e abilità pratico-organizzative utili ad agevolare i processi di relazione studente-docente e studente-studente. Aumentare il grado di coinvolgimento e motivazione della classe Risulta centrale nella prassi educativa la necessità di procedere con modalità che comportano e favoriscano anche l’acquisizione di abilità autodeterminate, insieme a un adeguato livello di indipendenza sul piano partecipativo. Le linee guida portano a estrarre alcune aree di intervento: aggregano, in un mixed reality che include oggetti virtuali, dati di geolocalizzazione, informazioni testuali e multimediali, attraverso una telecamera.  Funzione di condivisione produttiva e socializzante. Ci sono modalità che permettono a ogni allievo di contribuire con una serie di iniziative personali e di diversa natura a creare momenti di socializzazione e di conoscenza. Tramite il web oggi si condivide tutto e come sappiamo la dualità “benefici-pericoli” porta spesso a percorrere strade reali o virtuali sul filo del rasoio. L'esercizio di comunicazione virtuale impegna la responsabilità di ognuno in termini di correttezza e rispetto degli altri, esperienze generatrici di forte valenza formativa, perché costituiscono occasioni per far vivere agli alunni pratiche scolastiche ed extrascolastiche coinvolgenti, in cui possono essere protagonisti del proprio sapere e del saper fare. Applicazioni web già trattata per la funzione aggregativa, cioè le bacheche virtuali come la citata Padlet o come Lino sono ambienti che permettono di registrare diversi accessi, con il controllo di un moderatore (l’insegnante o il genitore), per finalità diverse e tutte in condivisione o compartecipazione: o Brainstorming, o Impegni di studio, o Proposte, o Atti e cronache, o Programmazione di attività, o Attività ludiche ed espressive. In vetta alla classifica, tra gli ambienti per la costruzione e condivisione dei saperi, troviamo i wikis, data la loro intrinseca natura a rendere la forma di collaborazione autoriale democratica.  Funzione SEL. Gli orientamenti dell’educazione socio emotiva (SEL) Riscontrano nel mondo della scuola sempre più interesse. Gli interventi per la formazione degli studenti si articolano principalmente sullo sviluppo di 5 competenze chiave: l’auto consapevolezza, l’auto gestione, la consapevolezza sociale, la capacità relazionale e di prendere decisioni responsabili. Si tratta di un percorso che prende il via già nelle fasi di sviluppo prescolare. Sono diversi gli esempi di videogame, giochi online e mobile apps che si sono occupati di abilità relative alle emozioni e alle relazioni sociali, come: l'app Being Here, per il monitoraggio del proprio stato emotivo e per la registrazione delle ragioni che hanno portato a tale percezione, The Transporter, per il riconoscimento facciale delle emozioni. Particolare interesse suscita anche l’app gratuita per la gestione del comportamento in classe Class dojo, si tratta di un sistema di monitoraggio che permette ai genitori di rilevare in tempo reale le segnalazioni positive e negative registrate dall’insegnante e a quest’ultimo di proiettare alla classe una classifica periodica assieme al quadro dei punteggi ottenuti dai singoli alunni, strumenti utili per l’attivazione di diverse strategie di token economy. Class dojo presenta la possibilità di modificare e aggiungere gli indicatori osservabili, sostituire le descrizioni dei comportamenti con quelle degli stati emotivi.  Funzione accessibilità. Il problema dell’accessibilità, vede come diretti beneficiari non solo gli utenti affetti da disabilità permanenti, ma coinvolge anche il mondo delle persone prive di compromissioni particolarmente specifiche, come stranieri o persone con basso livello culturale, chi utilizza ancora attrezzature obsolete, coloro che lavorano in condizioni di necessità speciali e infine gli anziani che gradualmente subiscono una progressiva riduzione delle loro abilità di interazione. Tutte le tecnologie web o derivate, ben progettate, sono potenzialmente pronte per supportare dispositivi e opzioni per aumentare l’accessibilità. Differente la situazione che possiamo trovare per software dotati o sviluppati per un uso su “PC desktop”. In questi casi il grado di accessibilità dipende dalla sensibilità dei produttori a investire in soluzioni tecniche regolamentate da standard di riferimento. Ausili informatici Strumenti-tecnologie a supporto delle disabilità sensoriali e motorie. Il sussidio è funzionale al deficit e quindi sempre necessario, tuttavia non può essere collocato in modo casuale e poco attento, in un tipo di attività o in un altro, all’interno fuori della classe.  Disabilità motoria: è l'effetto clinico di patologie diverse. Il danno può interessare il tono muscolare, le diverse posture, la coordinazione grosso e fine motoria, non che le prassie. Rispetto alle richieste dell’attività scolastica, la tetraplegia è la condizione più severa perché costringe l'uso costante della carrozzella. Nella paraplegia, l’uso degli arti superiori delle mani non richiede alcun ausilio, ma se la disabilità colpisce anche gli arti superiori, oppure colpisce la produzione di parole e il controllo dei movimenti del capo, è necessario fare ricorso a una serie di ausili che le tecnologie informatiche attualmente dispongono. Per le lievi disprassie i software per l’accessibilità dei sistemi operativi contemplano numerosi accorgimenti che riguardano la sensibilità e la funzionalità dei testi e dei dispositivi di puntamento (mouse), inoltre vi è la possibilità di usare software di videoscrittura o disegno assistito. Nei casi di motricità fortemente compromessa, sono diversi i sistemi in aiuto dalle tastiere adattate ai sensori ai sistemi di riconoscimento vocale: o Tastiere speciali, tastiere espanse, ridotte, facilitate, virtuali. o Sistemi alternativi al mouse, joystick, touch pads, touch screens. o Sensori come pulsanti, pedali, dispositivi sensibili al soffio o ad aspirazione. o Sistemi di input a scansione del corpo, come gli emulatori di mouse con il capo, i puntatori oculari. o Sistemi di riconoscimento vocale che consentono di impartire i comandi con il microfono.  Disabilità visiva: la riduzione della possibilità di produrre e accedere a un testo scritto da parte di alunni ciechi o ipovedenti è stata risolta più di un secolo fa, grazie all’intuizione creativa di Louis Braille (1829). Il metodo ha permesso a generazioni di soggetti privi di vista di apprendere i diversi contenuti e conoscenze, pur in contesti escludenti quali le scuole speciali. Dal punto di vista tecnologico, i passaggi che hanno costituito importanti tasselli innovativi hanno riguardato nel tempo diversi aspetti: il riversamento del sapere su dispositivi digitali come i CD-ROM ai più recenti e-riders, gli audiolibri digitali, l'evoluzione di periferiche per l’input e l’output in Brail. Sono altrettanto numerose le applicazioni a vantaggio degli ipovedenti come schemi ingranditi o a abbraccio snodato, video ingranditori fissi. È giusto menzionare alcuni tutorial digitali come Impara Brail predisposti per insegnare a utenti vedenti la lettura e scrittura in brail.  Disabilità uditiva: l’esclusione dal mondo dei suoni corrisponde a una minorazione caratterizzata da aspetti molteplici dato che sordità e ipoacusie possono determinare, nei diversi soggetti interessati soprattutto nelle fasi evolutive, problemi connessi allo stesso sviluppo cognitivo. Sono diverse le strategie che il docente può mettere in atto per favorire l’apprendimento dello studente sordo o ipoacusico in classe. Possiamo rifarci alle fasi di organizzazione dell'ambiente classe alla collaborazione con l'insegnante di sostegno per la progettazione di interventi preventivi e per la predisposizione del materiale didattico, fino ad accorgimenti che riguardano la modalità dell’eloquio, la scelta delle espressioni, la posizione dell’insegnante rispetto all’uditorio. Dal punto di vista delle tecnologie accorgimenti a garantire la massima integrazione e inclusione scolastica sono: o Impostazione dei sistemi di accessibilità forniti dai dispositivi, ad esempio avvisi e segnali visivi alla ricezione di un messaggio, un post, un’email e altro. o Software dedicati all’uso della dattilografia fonologica bimanuale per la trasformazione della lingua verbale italiana in elementi visibili. o Ricorso a strumenti di riconoscimento vocale per tradurre in tempo reale le informazioni vocali dal docente in testo scritto. o Utilizzo di strumenti per la rappresentazione di mappe cognitive e concettuali e altri sistemi di organizzazione grafica della conoscenza. Studenti sordi di giovane età, in mancanza di un adeguata competenza linguistica nella lingua verbale possono entrare in contatto con l'insegnante e i propri coetanei attraverso sistemi iconografici facilmente trasmissibile lì con le applicazioni di messaggistica istantanea. Un’iconografia che pone gli utenti in una situazione di assoluta padronanza che consentono, oltre a un facile apprendimento l’utilizzo dell’applicazione stessa, anche un riutilizzo nelle dinamiche relazionali in classe. Il ruolo dell’insegnante Il ruolo dell’insegnante diviene determinante nel momento in cui tralasciata l’idea di utilizzare strumenti già pronti all’uso si impegna in prima persona, dotandosi di quella digital literacy che ormai non è più arginabile dalle mura scolastiche. Dall’acquisizione di competenze semplici, come la rielaborazione e l’adattamento dei contenuti digitali, fino a munirsi dello scaffolding necessario per condurre una lezione inclusiva al largo ventaglio, usufruendo di tutti i mezzi digitali disponibili. Si enucleano tre livelli di competenze che il docente in formazione continua dovrebbe tenere sempre aggiornati: 1. Strategico (area delle conoscenze); 2. Operativo (capacità di mettere in atto buone pratiche); 3. Tecnico (progettazione). Una delle abilità dell’insegnante sarà quella di non legarsi all’uso di una ristretta cerchia di strumenti, ma assicurarsi nello specifico una propria autonomia tecnologica, nella ricerca sistematica di nuove strade e possibilità. In ragione delle criticità sulla mancanza di una precisa linea di progettualità a livello nazionale e riflettendo su come l’inclusione non sia un processo statico, ma in continuo sviluppo e cambiamento, bisognoso di monitoraggio e verifiche sistematiche con supporti adeguati, dovrebbe poter emergere e delinearsi sul profilo di un insegnante competente la capacità di fruire di ogni risorsa e potenzialità a disposizione. Vi è dunque la necessità di prevedere interazioni tra modelli operativi diversi, proprio per l’eterogeneità cognitiva dei destinatari e in ragione di un processo inclusivo. Queste diverse azioni volte ad attivare motivazioni e relative elaborazioni, che permettono a tutti gli allievi di padroneggiare, pur in modo diverso, i contenuti essenziali delle discipline, richiedono strumenti particolari creati in risposta a dette necessità. Oggi esiste un mondo di applicazioni tecnologiche per la didattica speciale, non ancora adeguatamente esaminato. CAPITOLO 14 (prima parte) – LIBRO COTTINI I BISOGNI SPECIALI DEGLI ALLIEVI E GLI INTERVENTI SPECIFICI Strategie per facilitare apprendimenti significativi Le più significative sono: - Strategie derivate dall’analisi comportamentale applicata  l’analisi comportamentale applicata Applied Behavoir Analysis (ABA) deriva dall’orientamento specifico conosciuto come “analisi del comportamento” (Skinner) e propone una serie di piani e strategie di intervento per facilitare apprendimento funzionali e per ridurre comportamenti problematici in persone con BES, non in grado di usufruire completamente delle condizioni che la quotidianità “normalmente” offre. L’approccio metodologico si fonda sulla misurazione e sulla valutazione di comportamenti definiti  Possibilità di visione reiterata del filmato, che certamente aiuta a fissare in memoria le caratteristiche del comportamento che ci si prefigge di insegnare;  Enfasi che viene data alla processazione delle informazioni visive, che risultano sicuramente più significative in confronto a quelle di tipo verbale. Lo stimolo visivo, infatti, a differenza di quello verbale, permane nel tempo. Il video può comunque essere rivisto più volte e possiede una potenzialità ulteriore: quella di presentare una situazione concreta e reale, per quello che riguarda sia l’azione delle persone, che il contesto di riferimento. - L’insegnamento strutturato e le strategie di visualizzazione  l’insegnamento strutturato tenta di mettere a disposizione una sorta di bussola per l’orientamento, fornendo informazioni con modalità che facilitino al massimo la comprensione. In concreto, organizzare l’ambiente e le attività in base alle esigenze degli allievi significa fornire loro un quadro spaziale e temporale molto strutturato, nel quale i punti di riferimento siano visibili, concreti e prevedibili. Un contributo fondamentale è stato fornito all’interno del programma TEACCH. Applicare questi principi a livello scolastico richiede:  L’organizzazione della classe e degli spazi scolastici attraverso l’utilizzo di simboli e immagini, che consente all’allievo con autismo di avere riferimenti importanti per sentirsi in un contesto non caotico e sconosciuto;  La predisposizione di schemi visivi in grado di preannunciare le attività da effettuare e la sequenza delle stesse, aiutando ad anticipare e prevedere i vari compiti. Si tratta di una serie di oggetti o immagini o scritte, in grado di indicare all’allievo le attività programmate da effettuare. Il ricorso agli schemi visivi è estremamente importante per gli alunni con autismo, in quanto gli stessi hanno poca capacità di memorizzare informazioni trasmesse verbalmente, mentre la discriminazione e la memoria visiva rappresentano sicuramente dei punti di forza;  L’articolazione dei compiti per dare concrete informazioni sul loro inizio, svolgimento e conclusione. Gli schemi visivi informano sulla successione delle attività previste nella giornata, ma non dicono nulla circa la loro durata. L’insegnamento strutturato, in sintesi, cerca di sfruttare la propensione di molti allievi con situazioni di disabilità, in particolare quelli con disturbi dello spettro autistico, all’utilizzo preferenziale di stimoli di tipo visuospaziale. 2.1 Il Verbal Behavior Teaching Si tratta di una strategia elaborata all’interno dell’approccio ABA, sulla scorta del lavoro originario di Skinner sul comportamento verbale. Skinner non si è concentrato specificamente sul linguaggio verbale, ma sul comportamento verbale. Si è dedicato a studiare “l’episodio verbale totale”, non solo ciò che si dice ma anche la situazioni, le condizioni, le reazioni suscitate, lo scambio di ruoli, ecc. Ha identificato una seria di operanti, cioè di risposte emesse: - comportamento ecoico - fare richieste - nominare - comportamento intraverbale - comportamento verbale basato su se stessi Gli operanti verbali, considerati in relazione all’insegnamento del linguaggio a bambini con disabilità gravi, sono i primi quattro. L’operante ecoico è un comportamento verbale e vocale di tipo imitativo, che ha corrispondenza punto a punto con un modello verbale e vocale. (Ripetizione) Nel momento in cui il bambino vuole qualcosa e nell’ambiente è presente un interlocutore, può manifestare un MAND, cioè una richiesta verbale finalizzata ad ottenere quanto desiderato. Se il bambino nomina la palla perché vuole ottenerla, è avvenuto un mand. In questo caso non c’è antecedente verbale come nel comportamento ecoico, solo una motivazione ad ottenere l’oggetto. Il mand specifica il comportamento dell’ascoltatore e il rinforzo ultimo. Il concetto di motivazione riveste un ruolo di primo piano per la produzione di mand, che è tipicamente il primo passo nell’insegnamento del linguaggio. Il TACT indica un comportamento che “mette in contatto” con il contesto di riferimento. Si tratta di un operante verbale in cui una risposta viene evocata da un particolare oggetto o di un evento. Es. la risposta “rosso” emessa in presenza del genitore/insegnante e di un oggetto di quel colore, viene rinforzata dall’approvazione dell’adulto e aumenta così le conoscenze del bambino. Il tact è un operante verbale che prevede un antecedente non verbale e un rinforzatore generalizzato, come l’apprezzamento positivo di una persona specifica nell’ambiente. Può essere promosso con strategie comportamentali, al contrario dell’insegnamento del mand, quando la motivazione per lo stimolo è bassa cioè quando il bambino non è interessato. Il comportamento intraverbale è una particolare tipologia di operante verbale nel quale uno stimolo verbale seleziona l’occasione per una risposta verbale ma la risposta non ha le stesse caratteristiche dello stimolo che l’ha evocata. Il bambino non ripete la stessa parola. Es. classificare verbalmente o categorizzare oggetti nell’ambiente, fornire una sequenza di risposte connesse dal punto di vista semantico quando gli viene chiesto di fare un elenco. Si tratta di una condizione essenziale per sviluppare abilità comunicative sofisticate connesse alle conversazioni. 2.2 La Comunicazione aumentativa e alternativa La CAA si riferisce all’utilizzo di una serie di procedure e strumenti per tentare di compensare deficit comunicativi importanti. Si parla di un tipo di tecnologia assistiva costituita da qualsiasi strumento, dispositivo, immagine, parola, simbolo o gesto che tenda a compensare le difficoltà di comunicazione espressiva e recettiva, intendendo per tecnologia assistiva ogni oggetto, equipaggiamento, prodotto o sistema, anche modificato e personalizzato, che venga impiegato per aumentare, mantenere, migliorare le abilità funzionali delle persone in situazione di disabilità. Nell’ambito della CAA è contemplata qualsiasi forma di comunicazione che aumenti le possibilità di comunicare dell’individuo e offra vie alternative, si traduce sempre in sostegno alla relazione, alla comprensione e al pensiero. L’obiettivo è quello di mettere ogni persona nelle condizioni di poter effettuare scelte, esprime assenso o rifiuto, influenzare il proprio ambiente con modalità comprensibili, perseguire forme di autodeterminazione. Gli strumenti utilizzati possono essere di differente natura: i dispositivi senza tecnologia sono usati, ad esempio, nel PECS e in altre procedure che tendono a fornire segnali attraverso modalità visive e scambio di immagini. I dispositivi a bassa tecnologia sono semplici ausili che prevedono l’emissione di voce: i sistemi VOCA, attraverso l’attivazione di segnali preregistrati. In questi supporti si impiegano una serie di simboli visuo-grafici che vengono attivati quando una persona utilizza un dito, una mano, un puntatore per selezionare un simbolo da un pannello fisso. Ci sono poi strumenti più complessi sostenuti da supporti tecnologici maggiori che consentono di ampliare le possibilità comunicative attraverso schermi touch screens. Lo sviluppo più recente mette a disposizione tutta la tecnologia mobile. Un percorso di apprendimento che non richiede particolari supporti tecnologici è stato sviluppato all’interno del programma PECS, proposto da Bondy e Frost per far fronte alle difficoltà di allievi con autismo e pesanti carenze nella comunicazione verbale. Chi utilizza PECS impara dapprima a rivolgersi al partner comunicativo e a dargli un’immagine dell’oggetto desiderato allo scopo di ottenerlo. L’atto verbale viene poi ampliato. L’insegnamento prevede un percorso articolato in sei fasi, nelle quali si persegue lo scopo di portare progressivamente l’individuo allo sviluppo della comunicazione funzionale e come scambio sociale, attraverso il training su specifiche funzioni comunicative. L’intervento deve mirare alla valorizzazione all’incremento delle risorse comunicative del bambino, anche alla modificazione delle caratteristiche dell’ambiente e delle persone. Importante è la formazione di tutti gli attori. Fasi dell’insegnamento del programma PECS: 1. Lo scambio fisico assistito dell’immagine con l’oggetto; 2. Il progressivo aumento della spontaneità della comunicazione; 3. La discriminazione fra stimoli visivi per esprimere scelte; 4. La costruzione di una frase con i simboli; 5. La risposta a domande del tipo “Cosa vuoi?”” 6. La possibilità di fare dei commenti. Il solo prerequisito per intraprendere un intervento di CAA è la presenza di reali opportunità di comunicazione. E’ importante che venga utilizzata sia dall’allievo con situazione di disabilità, che dal o dai partner comunicativi: tutte le persone che vivono la quotidianità con l’alunno devono essere coinvolte e formate all’uso del sistema di comunicazione che si vuole condividere. IN-BOOKS: libri illustrati con testo in simboli, realizzati “su misura” per il singolo bambino, a partire da opere di letteratura per l’infanzia. Sono costituiti da una serie di immagini grafiche, ognuna associata alla parola alfabetica scritta in alto e contornata da un sottile bordo che tiene insieme i due elementi (immagini e parola). L’allievo riconosce l’immagine mentre il partner comunicativo legge la parola. La lettura ripetuta di questi libri può alimentare la comprensione, suscitare emozioni, sostenere lo sviluppo cognitivo e sociale del bambino in situazione di disabilità. 3. Strategie per contenere problemi comportamentali I comportamenti problematici manifestati da allievi che presentano situazioni di disabilità costituiscono una grossa fonte di preoccupazione per gli insegnanti. E’ una sfida educativa, per la quale non si dispongono strumenti e procedure efficaci, soprattutto nei casi di aggressività, distruttività e autolesionismo. Gli interventi devono indirizzarsi anche a promuovere competenze, soprattutto di tipo comunicativo. Gli obiettivi da fissare non devono limitarsi alla riduzione o eliminazione dei comportamenti problematici, ma è necessario prendere in considerazione anche lo sviluppo e l’utilizzo di competenze adeguate, accettabili che possano sostituire i comportamenti- problema. In un coerente piano di lavoro bisogna comprendere le strategie già considerate ai punti precedenti. 3.1 La gestione delle situazioni di crisi comportamentali Carr e colleghi elencano una serie di procedure “basate sostanzialmente sul buonsenso” che possono essere utili nel momento di crisi con comportamenti fortemente problematici: - quando è possibile ignorare il comportamento problematico; - proteggere l’allievo o gli altri presenti dalle conseguenze del comportamento problematico; - fermare momentaneamente l’allievo durante episodi di comportamento problematico (richiamo verbale o Nella tabella seguente è riportato un esempio riferito a ciascuna delle 3 dimensioni principali di cui si componeva la scala nella sua prima versione. Per la sua compilazione gli insegnanti erano invitati a rispondere a ogni quesito in relazione alla situazione della propria scuola, per alcuni item, e della propria classe per altri. Sommando i punteggi ottenuti nelle dieci domande, ogni scuola aveva a disposizione, nella sezione conclusiva dello strumento, un prospetto riassuntivo da compilare colorandolo, per avere un riferimento visivo dello stato di inclusività della scuola 0 20 40 60 80 100 120 Prospetto riassuntivo dei punteggi ottenuti riferiti a ciascuna dimensione creare culture inclusive produrre politiche inclusive sviluppare politiche inclusive 1.2 Le procedure di revisione La scala è stata sottoposta a procedure di revisione e validazione, di carattere qualitativo e quantitativo. Inizialmente è stato condotto uno studio attraverso la tecnica del FOCUS GROUP, seguita da una validazione psicometrica. IL FOCUS GROUP è un tipo di intervista che si svolge con un numero limitato di soggetti (da 6 a 12), condotta da un moderatore che a il ruolo di stimolare una discussione e un’interazione tra i soggetti coinvolti su uno specifico focus. In questo caso la modalità applicativa è quella del FOCUS GROUP ESPLORATIVO, con l’obbiettivo di rilevare, attraverso dati non strutturati, le opinioni circa un certo argomento in breve tempo. L’idea di base che caratterizza questa tecnica è che l’interazione sociale che si crea durante quest’attività costituisca una risorsa importante nel trasmettere informazioni, opinioni, consapevolezza dei ruoli e crescita culturale dei partecipanti e di chi lo conduce. Nel nostro caso, il FOCUS sul quale si è incentrata la discussione sono state la pertinenza e la comprensibilità degli item che componevano la scala di valutazione per l’inclusione. I FOCUS GROUP, sono infatti anche una valida risorsa nella costruzione di strumenti di valutazione che si basano su domande, al fine di controllarne la comprensibilità. In questo caso la discussione sviluppata all’interno dei FOCUS GROUPS si è rivelata utile al raggiungimento dei seguenti obbiettivi generali: - Individuare il linguaggio utilizzato dai soggetti coinvolti nella ricerca - Trovare eventuali nuovi indicatori per i concetti da rilevare - Avere suggerimenti circa il campione di soggetti da coinvolgere - Far intervenire attivamente nella ricerca i soggetti coinvolti Se ne sono aggiunti altri di carattere più specifico - Compiere un’analisi di ogni singolo item al fine di evidenziarne la rispondenza all’oggetto - Valutare la chiarezza del linguaggio e la presenza di eventuali termini discutibili - Analizzare in modalità Bottom up la percezione di efficienza ed efficacia dell’inclusione nella scuola e nella classe - Valutare in modo generale la scala, evidenziando l’eventuale mancanza di indicatori ritenuti critici e la possibile individuazione di indicatori oggettivi, la cui valutazione non sia legata alla soggettività dell’operatore scolastico Vengono organizzati 2 FOCUS GROUPS uno presso l’Università di Udine e uno presso quella di Perugia, hanno partecipato almeno dieci insegnanti di scuola primaria con non meno di 10 anni di esperienza lavorativa e 5 dirigenti scolastici. La discussione e il confronto sono stati molto proficui e hanno portato ad un affinamento e un alleggerimento sia degli item che del linguaggio utilizzato. Sono stati evidenziati elementi critici della scala nella sua prima versione: - Difficoltà a raffigurare una demarcazione netta tra le tre dimensioni dell’inclusione proposte - Difficoltà a individuare i responsabili dei processi inclusivi - Difficoltà ad individuare i contesti entro i quali dovrebbe essere promossa l’inclusione Questi riscontri hanno portato ad una revisione generale dello strumento, poi sottoposto ad uno studio pilota per la validazione, per quanto riguarda la sua forma. 1.3 Le procedure di valutazione psicometrica E’ stata calcolata l’ALPHA DI CRONBACH, riferita al campione di scuole coinvolte, con punteggi maggiore di 0,9; coefficienti di Cronbach così elevati indicano una forte omogeneità interna dello strumento, ma anche una ridondanza degli item e, per questo, come si spiegherà meglio poi, in conseguenza all’analisi fattoriale sono stati eliminati una serie di item il cui contributo era poco rilevante. E’ stata effettuata poi, analisi fattoriale, su ottanta casi. Come procedura di estrazione dei fattori è stata adottata l’analisi delle componenti principali (PCA). Alcuni studi evidenziano infatti, come un’elevata comunalità e un numero di variabili superiore a trenta facciano sì che i risultati dell’estrazione fattoriale sostanzialmente non cambino, qualsiasi metodo si utilizzi. Diversamente dalla struttura dell’Index, l’analisi fattoriale condotta ha evidenziato due fattori: il primo spiega il 16,5% della varianza totale, il secondo quasi il 10%. Gli altri fattori sono sotto al 5%, quindi trascurabili. Considerata allora anche L’ALPHA CRONBACH, si è proceduto a una pulitura degli item, in accordo ai seguenti criteri: - Come criterio di inclusione, sono stati selezionati gli item con maggior carico sul fattore corrispondente - Come criteri di esclusione, sono stati eliminati gli item con un effetto tetto e con una ridotta deviazione standard, cioè quelli che sono stati valutati alti da tutti i rispondenti e che quindi rischiano di discriminare poco In conclusione, è risultata la seguente struttura a due fattori, denominati rispettivamente: ORGANIZZAZIONE INCLUSIVA e DIDATTICA INCLUSIVA. FATTORE 1 FATTORE 2 (15 item) (15 item) Sono stati poi aggiunti cinque item per ogni dimensione, selezionati fra quelli irrinunciabili all’interno del focus group, per una valutazione della qualità dell’inclusione scolastica. 1.4 Gli item di valutazione oggettiva L’attività condotta all’interno dei FOCUS GROUPS e i risultati di uno specifico studio pilota nel quale è stato chiesto a 80 scuole di compilare la scala nella sua versione rivista e di indicare eventuali indicatori rilevabili in modo diretto, ha consentito di individuare altri 15 item che abbiamo definito “oggettivi”. Questi vanno a completare la scala e le conferiscono una maggiore capacità di valutare la qualità dell’inclusione, ancorandola, di fatto, a processi rilevabili anche all’esterno e non frutto soltanto di procedure autoriflessive. Tali indicatori si riferiscono a temi centrali che impattano fortemente i processi inclusivi come: - Formazione del personale scolastico sui temi inclusivi - Processi di programmazione e pubblicizzazione delle attività educative espresse attraverso PTOF e PEI - L’utilizzo adeguato del personale educativo e delle altre risorse - L’organizzazione della classe e l’attività didattica - L’abbandono scolastico e i ritardi nella progressione - L’attenzione per tutte le differenze - Il coinvolgimento delle famiglie e delle agenzie del territorio nel progetto educativo della scuola 1.5 La Scala di valutazione dei processi inclusivi La scala, nella sua versione definitiva, è composta da due sottoscale di autovalutazione ognuna composta da 20 item, e da un sottoscala di valutazione oggettiva con 15 indicatori. Si prevede che la prima dimensione, dell’organizzazione inclusiva, venga valutata da tutto il team docenti della scuola, mentre la seconda, riferita alla didattica inclusiva, venga analizzata dai docenti della classe presa in considerazione. Il DIMENSIONE C Pratiche inclusive DIMENSIONE A Culture inclusive DIMENSIONE B Politiche inclusive 2. La scala nel contesto scolastico: i primi dati La scala è uno strumento per guidare l’autoriflessione all’interno di un team di insegnanti, per evidenziare lo stato dell’arte della messa in atto di processi inclusivi e individuare gli ambiti e le linee di miglioramento. Questo elemento è apparso chiaro nel momento in cui ne abbiamo fatto un utilizzo per selezionare dall’esterno delle classi ad alto e basso livello di inclusività. In questa situazione, che richiedeva di indicare scuola e classe, le risposte hanno raggiunto valori estremamente elevati, soprattutto in riferimento alla dimensione B, in confronto ad altre situazioni anonime. Alla luce di tali riscontri, i dati presentati si riferiscono solo ad un campione di 76 insegnanti della scuola primaria e secondaria di primo grado, che hanno utilizzato la scala come momento di autoriflessione in uno specifico itinerario di formazione sulla didattica inclusiva, consegnando poi i questionari senza alcun elemento che potesse renderli riconoscibili. Le classi considerate (21), sono distribuite in 9 istituti comprensivi. In primo luogo vengono riportati i risultati medi del campione, riferiti alle 3 dimensioni della scala: organizzazione inclusiva, didattica inclusiva e indicatori oggettivi dell’inclusione. Attualmente si sta somministrando la scala ad un ampio campione di scuole di ogni ordine e grado, in modo da avere un quadro più significativo della situazione, con la possibilità di arrivare a dati standardizzati. Questi primi riscontri, evidenziano un quadro meno favorevole di quello che si sarebbe aspettato e testimoniano l’importanza di promuovere forme di valutazione con specifici strumenti e di autoriflessione su aspetti fondamentali vivere e apprendere a scuola e in classe, ai quali non sempre si riserva la dovuta attenzione. Andando più nello specifico, può essere significativo analizzare i risultati, sempre riferiti ai diti medi, fatti registrare dal campione sui singoli item delle 3 dimensioni. Per quello che riguarda l’organizzazione inclusiva della scuola (dimensione A), si rileva una situazione assai preoccupante; le carenze più rilevanti si riferiscono alla modalità di presentazione delle informazioni inerenti alla scuola, al limitato coinvolgimento del territorio e delle famiglie alle iniziative della scuola, ai percorsi formativi sui temi dell’inclusione, alla programmazione didattica, non sempre condivisa tra insegnanti curricolari e di sostegno. Relativamente alle procedere didattiche che vengono promosse nella classe per favorire processi inclusivi (dimensione B), le risposte degli insegnanti sono state maggiormente orientate a evidenziare aspetti positivi, legati soprattutto al coinvolgimento e alla responsabilizzazione degli alunni, alle azioni di guida e di supporto messe in atto dai docenti, alla capacità degli insegnanti di adottare modalità differenti di insegnamento, per poter rispondere al meglio ai differenti stili di apprendimento degli allievi. I principali elementi di criticità segnalati si riferiscono alla stimolazione di forme di supporto fra gli allievi, alle possibilità di scelta delle attività offerte, alla gestione poco condivisa della situazione degli allievi in condizione di disabilità. L’analisi degli indicatori oggettivi, evidenzia alcuni elementi positivi relativi alla partecipazione di allievi con disabilità alle attività extrascolastiche e all’attenzione riservata agli allievi con BES. Appaiono confermare alcune carenze rilevate già nelle dimensioni A e B, riferite soprattutto all’accessibilità alle informazioni sulla scuola e alla sensibilizzazione di altre agenzie come la famiglia, sui temi inclusivi. L’item 13 non è stato considerato in quanto il tema dell’alternanza scuola-lavoro riguarda i docenti delle scuole secondarie di 2° grado non rappresentati nel campione di questa indagine pilota. La grossa mole di dati che stanno provenendo da vari cotesti scolastici ci porterà a breve a sviluppare varie analisi nelle quali cercheremo di considerare alcune variabili legate alla tipologia di scuola (infanzia, primaria, ecc…), alla formazione degli insegnanti e alla loro esperienza professionale. L’auspicio è di indicare piste di lavoro percorribili per attivare processi di crescita e di miglioramento nella prospettiva dell’inclusione, a cui si connette strettamente la qualità dell’intera istituzione scolastica. CAPITOLO 16 L’inclusione funziona? Vengono prese in considerazione le principali ricerche e se ne valuta l’efficacia, giustificando l’applicazione generalizzata. Verrà messo in evidenza come nel nostro paese la storia dell’integrazione scolastica possa annoverare la descrizione di molte esperienze di grande significato, mentre la produzione di ricerche empiriche appare assai limitata. Negli USA, molti sostenitori dell’orientamento FULL INCLUSION al livello scolastico, hanno identificato da tempo l’Italia come un ottimo esempio di realizzazione compiuta di tale politica, ma allo stesso tempo non mancano di evidenziare la scarsità di ricerca che nel nostro paese si è indirizzata ad esaminare direttamente le pratiche di inclusione e i risultati ottenuti. Questo limite tende a non fornire agli insegnanti dei solidi riferimenti metodologici per orientare il loro lavoro quotidiano. Verranno di seguito presentati i principali studi condotti sul modello italiano di integrazione e inclusione scolastica e i risconti della ricerca internazionale riferita all’efficacia delle strategie di educazione inclusiva descritte nel presente lavoro. 1. La ricerca italiana sull’integrazione e inclusione scolastica Nel nostro paese, le principali ricerche sul modello di integrazione e inclusione si sono concentrate sulla descrizione delle politiche e delle prassi inclusive in un determinato momento: l’obbiettivo è stato quello di verificare lo stato dell’arte dei processi educativi. Si tratta di studi condotti attraverso interviste o questionari somministrati a insegnanti, dirigenti e famiglie, con lo scopo di appurare le procedure che vengono messe in atto, l’organizzazione didattica, il livello di soddisfazione, le risorse impegnate, il coinvolgimento dei diversi attori, ecc. Sulla base di una serie di indicatori di qualità dell’integrazione definiti A PRIORI, si è indagato se gli stessi vengono soddisfatti in specifiche situazioni scolastiche. In una ricerca sull’integrazione scolastica degli allievi CON SINDROME DOWN, sono stati presi in considerazione e valutati alcuni indicatori ritenuti critici per informare circa la qualità del processo inclusivo. Il campione era di 385 allievi frequentanti la scuola primaria e secondaria di 1° grado. Lo strumento utilizzato è stato un ampio questionario con una serie di indicatori raggruppati in 3 categorie: DI STRUTTURA, DI PROCESSO e DI RISULTATO. I riscontri hanno evidenziato alcuni aspetti confortanti, ai quali si sono contrapposte zone d’ombra molto preoccupanti. Dal punto di vista della didattica, sembra superata la concezione che vede l’insegnante di sostegno come strumento di emarginazione nella situazione scolastica. Un aspetto interessante evidenziato, è la non concordanza fra le risposte fornite dagli insegnanti curricolari e quelli di sostegno, sulla qualità del lavoro comune: in oltre la metà delle situazioni i docenti curricolari hanno sostenuto di lavorare in team con i colleghi di sostegno, ma tale affermazione non ha trovato conferma nelle risposte di questi ultimi. Si è rilevata una carente collaborazione nella programmazione degli interventi educativi, a cui si aggiunge una disattenzione all’organizzazione della classe, una scarsa flessibilità nell’articolazione delle attività e una mancanza di progettualità oltre la scuola. Riguardo gli indicatori di risultato, il questionario proposto agli operatori scolastici presentava un elenco di abilità basilari che gli allievi con sindrome Down avrebbero dovuto acquisire alle diverse età (autonomia, area linguistica, logico—matematica e socioaffettiva). I risultati rilevati, sono apparsi confortanti, evidenziando un buon possesso di competenze cognitive, relazionali e sociali. Vianello e collaboratori hanno analizzato gli atteggiamenti dei genitori nei confronti dell’integrazione scolastica di allievi con sindrome Down. Le ipotesi che hanno posto alla base del loro studio erano: - Genitori di bambini con sindrome down hanno un atteggiamento più positivo nei confronti dell’integrazione scolastica dei propri figli rispetto a quelli di bambini a sviluppo tipico con e senza esperienza di integrazione - I genitori dei bambini a sviluppo tipico che hanno come compagno un alunno con sindrome Down sono più favorevoli all’integrazione rispetto ai genitori i cui figli non hanno compagni in tale condizione. La metodologia d’indagine si è incentrata sulla compilazione di un questionario proposto a 120 genitori della primaria e 120 della secondaria di 1° grado, equamente distribuiti in relazione alle 3 condizioni sopra indicate. I risultati hanno confermato che sia i genitori con un figlio con sindrome Down che gli altri, presentavano un atteggiamento molto favorevole nei confronti dell’integrazione scolastica. Inoltre si è evidenziato come L’ESPERIENZA DIRETTA favorisca una migliore predisposizione ad accettare positivamente la presenza in class e di un compagno con disabilità. Quindi una modalità privilegiata per favorire l’integrazione è quella di farla vivere direttamente alle persone. Nel biennio 2007-08 il gruppo coordinato da Canevaro, d’Alonso e Ianes ha condotto una ricerca finalizzata a FOTOGRAFARE LO STATO D’INTEGRAZIONE SCOLASTICA in Italia nei primi trent’anni d’applicazione (19777-2007). Sono state coinvolte 1877 persone con disabilità (di varia diagnosi e gravità) o familiari delle stesse, che hanno descritto la loro carriera scolastica e quello che si è verificato al termine di essa, cercando di evidenziare anche alcuni esiti dell’integrazione. Ciò è avvenuto attraverso la compilazione di un questionario che prevedeva risposte chiusa attraverso le quali esprimere il proprio apprezzamento per le varie situazioni vissute. I gruppi considerati dalla ricerca sono stati 7 di persone in situazione di disabilità, appartenenti a fasce d’età comprese tra un estremo inferiore (nati dal 1955 al 1969) e uno superiore (1995-199). Riferendosi ai resoconti e ai ricordi delle famiglie è stata definita una fotografia del processo di integrazione scolastica e delle sue evoluzioni nel tempo. I risultati più interessanti sono riferiti alla frequenza dei vari ordini di scuola, che è andata aumentando nel tempo e con essa anche il livello di soddisfazione dei genitori. Per tutti gli ordini di scuola si assiste a una progressiva diminuzione negli anni della percentuale di percorsi di inclusione totale, a vantaggio di situazioni miste, con una parte del tempo trascorsa in classe e una in ambienti separati. Riguardo l’evoluzione delle persone dopo la scuola, la situazione è molto eterogenea e non soddisfacente: il 42% si trova inserito in strutture protette, il 23% è restato a casa, il 22% dichiara di essere impegnato in lavori non specificati e solo il 9% risulta occupato in aziende e meno del 7% in cooperative sociali. Lo stesso gruppo di lavoro ha analizzato negli anni 2009-10 lo stato dell’integrazione scolastica attraverso LE OPINIONI DEGLI INSEGNANTI. Oltre 3200 professionisti della scuola hanno compilato un questionario finalizzato a raccogliere le opinioni e gli atteggiamenti generali sul tema dell’integrazione scolastica degli insegnanti. I risultati hanno evidenziato un sistema di convinzioni che per alcuni versi ha confermato le aspettative e per altre le ha contraddette: un dato inatteso e preoccupante è quello che deriva dall’affermazione degli insegnanti di non credere nelle capacità di risposta efficiente del sistema scolastico, nella sua attuale organizzazione, ai bisogni degli allievi con disabilità. Lo stesso campione, ha espresso però adesione convinta alle affermazioni relative alla significatività del processo di integrazione per la classe, in termini sia di facilitazione dell’apprendimento che di socializzazione e all’affermazione relativa alla crescita professionale favorita dalla presenza di allievi disabili. E’ stata fortemente enfatizzata l’importanza di un percorso coordinato fra insegnanti curricolari e specializzati, che inciderebbe in maniera superiore al numero di ore di sostegno assegnate a ciascun allievo. QAUANTO alle possibilità di istituzionalizzare percorsi separati per alcune gravi patologie all’interno della scuola, con un ritorno alle classi speciali, le risposte si sono divise in un 45% che manifesta la contrarietà, con forme più o meno decise e un 25% che si dichiarava favorevole a questa prospettiva vedendola come un’opportunità di miglioramento della situazione presente. Il dato è preoccupante in quanto si tratta di professionisti direttamente impegnati nel processo di integrazione. Da questa ricerca si può affermare che la stessa indica senz’altro delle aree di criticità che hanno inciso su chi opera nella quotidianità, minando quelle convinzioni necessarie per sostenere e alimentare l’intero processo inclusivo promosso dalla scuola. Altra analisi è quella sviluppata dall’Associazione Treellle, la quale ha cercato di fare un bilancio sul FUNZIONAMENTO DELLA POLITICA DELL’INTEGRAZIONE e ha proposto un modello organizzativo profondamente diverso da quello attuale. A fronte dell’ampio accordo sull’efficaci a dei programmi di CL, o più in generale, insegnamento mediato dai pari riguardo la qualità e i tempi di apprendimento, vi è scarsa concordanza di opinioni rispetto alle motivazioni di tale efficacia. Slavin riassume il dibattito esistente identificando quattro principali prospettive teoriche in grado di spiegare i risultati positivi dei programmi di apprendimento cooperativo: motivazionale, della coesione sociale, cognitiva e evolutiva. Secondo i teorici dell’approccio motivazionale, gli obbiettivi e le gratificazioni di gruppo utilizzati da alcuni programmi d’insegnamento mediato dai pari forniscono agli alunni la motivazione ad aiutarsi reciprocamente e aumentano così il loro rendimento: poiché vengono appagati soltanto se tutto il gruppo ottiene risultati positivi, ognuno fa il proprio meglio. I teorici della coesione sociale suggeriscono che nei gruppi cooperativi gli allievi sono sollecitati ad aiutarsi perché hanno più cura l’uno dell’altro e vogliono che gli altri abbiano risultati positivi. Coloro che propongono un’interpretazione di tipo cognitivo suggeriscono che sono le interazioni tra allievi a migliorare le loro abilità di elaborazione mentale e quindi, le loro prestazioni scolastiche. Spiegando risposte e strategie ai compagni, ed insegnando loro determinati contenuti, gli allievi sviluppano una comprensione più approfondita degli stessi. La prospettiva evolutiva ritiene che le attività collaborative promuovano lo sviluppo perché i bambini lavorano nella loro “zona di sviluppo è prossimale” e imitano comportamenti di collaborazione leggermente più sofisticati tra loro. Secondo Slavin, per quanto tutte e 4 le prospettive possano essere valide, probabilmente nessuna è necessaria e sufficiente a spiegare l’efficacia delle strategie d’insegnamento mediato dai pari, per cui propone un modello concettuale che utilizza tutte le ipotesi per esaltarne gli effetti sul piano scolastico e sociale. Per quanto concerne le strategie cognitive e metacognitive si sottolinea come le stesse abbiano avuto una vasta applicazione documentata da Hattie e Mitchell, concorrendo al conseguimento di esiti rilevanti, specie quando sono state combinate con tecniche di istruzione diretta. Risultati interessanti sono stati ottenuti anche in esperienze sperimentali che hanno coinvolto soggetti con disabilità intellettiva., soprattutto per l’utilizzo di strategie di memorizzazione. Viene segnalato, in questo ambito, un lavoro specifico in cui viene sviluppato un approccio didattico centrato su procedure cognitive e metacognitive per potenziare la memoria di allievi a sviluppo tipico, con disabilità, DSA e BES. L’interesse di questa proposta è legata al fatto che le strategie sono state applicate nel contesto della classe, ricercando sempre un approccio inclusivo all’interno degli specifici curricoli di insegnamento disciplinare. Relativamente all’educazione socio emozionale e alla dimensione della pro socialità, un’ampia metanalisi ha messo in evidenza gli esiti positivi degli studenti riguardo le abilità sociali ed emotive, ai comportamenti sociali positivi, ai problemi di condotta, agli stress emotivi e all’incremento riguardante i risultati scolastici rispetto ai soggetti appartenenti ai gruppi di controllo. La formazione specifica degli insegnanti viene ritenuta un elemento sicuramente centrale rispetto al raggiungimento degli obbiettivi posti alla base dell’educazione socio emozionale, in particolare alle dimensioni della cura e dell’impegno nell’istaurare positive relazioni con gli studenti, l’utilizzo di approcci didattici coinvolgenti, la creazione di un ambiente sicuro che incoraggi e rafforzi il comportamento positivo in classe, l’uso di materiali didattici motivanti, sono alcuni degli elementi chiave che possono decretare il successo o l’insuccesso di tali attività. Sintetizzando i lavori, soprattutto quelli centrati sulla metanalisi, si evidenzia un effetto positivo non di grossa rilevanza, fatta eccezione per i programmi che utilizzano i video interattivi. L’impiego di tecnologie di più recente evoluzione sembra dare risultati maggiormente confortanti, e ciò che appare significativo è la qualità delle interazioni che si vengono a innescare in essi. Molto numerose sono le evidenze sull’efficacia di varie strategie specifiche per l’insegnamento ad allievi con disabilità, in riferimento alla deviazione cognitivo comportamentale, e in base a ciò vanno segnalati importanti studi condotti in contesti diversi da quello italiano, che hanno preso in considerazione la rilevanza di specifiche strategie educative quando utilizzate con individui affetti da diverse tipologie di deficit, specie con disabilità intellettiva e autismo. Nello specifico viene evidenziata l’efficacia di strategie di tipo comportamentale, come l’istruzione diretta orientata a insegnare attraverso modalità di tipo STTEP BY STEP il controllo degli stimoli, il modeling, l’utilizzo di contingenze di rinforzo, ecc.. oltre ciò, si sono dimostrati significativi interventi di tipo cognitivo, soprattutto con allievi con livelli di gravità lieve o moderata. Fra questi segnaliamo l’autoistruzione, l’automonitoraggio il potenziamento di strategie mnestiche, la metacognizione. Nell’ambito dell’intervento rivolto ad allievi con disturbo dello spettro autistico esistono evidenze che sostengono l’efficacia delle tecniche comportamentali della CCA e del video modeling. La quasi totalità degli studi presi in considerazione da queste rassegne, però è stato implementato in ambito riabilitativo o in istituzioni speciali e quindi risulta poco generalizzabile al nostro contesto. 3. Nelle classi maggiormente inclusive si apprende meglio? All’ interno di un progetto europeo, si sta sviluppando una ricerca che si indirizza ad indagare se, nelle classi che promuovono processi inclusivi, l’apprendimento di tutti sia facilitato o rallentato. Su questo piano si confrontano posizioni contrastanti: da un lato vi sono coloro che, ritengono che la promozione di contesti più rispettosi delle differenze si ripercuota positivamente su tutti gli allievi che vi i interagiscono, dall’altro, si collocano i docenti più legati alla necessità di insegnare i contenuti specifici delle discipline, che ritengono che, dovendosi dedicare anche a tutte le situazioni difficili della classe, si finisce per penalizzare quelli che potrebbero apprendere con un ritmo più spedito. La necessità di ancorare un tale dibattito ai dati della ricerca è fondamentale; si tratta di individuare classi con livelli diversi di inclusività e valutare gli apprendimenti degli allievi con prove dello stesso tipo, possibilmente standardizzate. In concreto, la Scala di valutazione dei processi inclusivi, g descritta nel cap.15, è stata somministrata ad un elevato numero di classi di quarta e quinta primaria, al fine di individuare 20 a elevato livello di inclusività e 20 a basso livello. E’risultato complesso individuare le classi a basso livello di inclusività, soprattutto nella somministrazione online in relazione alla dimensione B della scala, relativa alla qualità della didattica inclusiva. Infatti agli insegnanti veniva richiesto il nome dell’istituto comprensivo e questa possibilità di riconoscimento ha aumentato il timore di una valutazione esterna e la tendenza, a rispondere maggiormente sulla base della desiderabilità sociale. In considerazione di ciò, si è deciso di escludere la dimensione B dalle indagini e prendere solo il punteggio ottenuto dagli item della dimensione A (organizzazione inclusiva) e C (indicatori oggettivi dell’inclusione). Le classi a basso livello sono state quelle con un punteggio inferiore al 65%, quelle ad alto con un punteggio superiore al 70%. Agli allievi di queste classi, si stanno somministrando le prove seguenti per valutare gli apprendimenti e le competenze socio emozionali: - CO-TT (Comprensione orale-Test e trattamento) scuola primaria per la valutazione della comprensione orale - SPM (Soluzione dei problemi matematici) per la valutazione delle abilità di soluzione dei problemi matematici. Questi test sono stati scelti perché standardizzati e, vista la loro struttura con un limitato impatto della componente linguistica, coordinati da una professoressa. Oltra a ciò si sta conducendo anche un’osservazione delle competenze socio-emozionali utilizzando le scale proposte dal programma EATHS. Dai primi dati disponibili, parziali, sembra emergere un quadro in linea con l’ipotesi della ricerca. E’ stata somministrata, al momento, solo la prova CO-TT a 15 classi di cui una a basso livello di inclusività, 9 ad alto e 3 con valori intermedi (tra 65% e 70%). Sulle dimensioni A e C della scala. Si nota che, sia nelle classi quarte che quinte, sembra emergere una tendenza ad avere valori più alti nelle rilevazioni in confronto alle norme per le classi ad alto livello di inclusività, mentre per la classe a basso livello avviene il contrario. In alcune classi, questo divario appare assai significativo. Chiaramente sarà necessario arrivare alla conclusione della sperimentazione per poter formulare considerazioni fondate, ma i primi riscontri sembrano confortanti e in linea con i risultati ottenuti in contesti diversi, i quali tendono a confermare l’efficacia dell’educazione inclusiva, sia per gli allievi con BES che per i loro compagni. CONCLUSIONE: Inclusione di qualità per una scuola di qualità Fra la qualità dei processi inclusivi e quella della scuola esiste un rapporto di mutua influenza: solo una scuola di alto livello, può rappresentare il substrato per implementare esperienze davvero inclusive per tutti, le quali, però, riverberano sull’organizzazione dell’intero sistema educativo, determinando degli effetti positivi per il successo formativo e per lo star bene di ognuno. Il D.Lgs 66/2017, all’art. 4 stabilisce che “la valutazione della qualità dell’inclusione scolastica è parte integrante del procedimento di valutazione delle istituzioni scolastiche e che quindi può trovare concretizzazione attraverso percorsi di PERSONALIZZAZIONE, INDIVIDUAZIONE e DIFFERENZIAZINE dei processi di educazione, istruzione e formazione, definiti e attivati dalla scuola, in funzione delle caratteristiche specifiche degli allievi”. Il costrutto di educazione inclusiva è stato sviluppato su quattro piani, complementari e sinergici, con l’intento di individuare soluzioni operative in grado di garantirne la massima espressione. I piani sono quelli dell’m affermazione dei principi di riferimento, organizzazione del contesto e delle procedure ai fini inclusivi, delle metodologie da mettere in campo per promuovere l’inclusione, della verifica circa la significatività operativa di tali metodologie e, più in generale dell’efficacia reale di una scuola inclusiva. Tutto il percorso ha enfatizzato la prospettiva didattica, presentando prove curricolari e approfondimenti in specifici quadri o tabelle operative. La sintesi finale è che la didattica dell’inclusione è la nuova prospettiva della didattica speciale, orientata all’ambiente, al clima alla differenziazione didattica, alla progettazione condivisa, alle strategie collaborative, allo sviluppo di capacità cognitive e metacognitive, alla formazione di competenze assertive e prosociali, alla conoscenza e gestione delle emozioni e all’impiego funzionale delle tecnologie. A questo livello la dimensione dei bisogni speciali, identificabile in particolari categorie di allievi, è superata in una prospettiva che pone al centro la creazione dii contesti inclusivi in cui ognuno si sente accolto e può esprimere le proprie potenzialità. Una prospettiva che può realizzarsi solo attraverso un percorso che veda la didattica speciale dell’inclusione come motore del cambiamento, una didattica realmente di qualità.

Quali sono i quattro piani dell inclusione Secondo Cottini?

Su questi elementi operativi mi sono soffermato ampiamente in un lavoro recente (Cottini, 2017a), nel quale ho articolato e sviluppato il concetto di inclusione su quattro piani: (1) il piano dei principi; (2) il piano orga- nizzativo; (3) il piano metodologico-didattico; (4) il piano dell'evidenza empirica.

Che cosa si intende per didattica speciale?

La didattica speciale ha come compito principale quello di definire le strategie insegnative e apprenditive specifiche per soggetti in situazione di handicap, in situazione di svantaggio socioculturale, affinché questi diventino autonomi nel pensiero e nell'azione.