Perché in montagna la pressione è più bassa

Perché in montagna la pressione è più bassa

In realtà la quantità di ossigeno presente nell’aria è la stessa che c’è al livello del mare. Cambia la pressione parziale, che sull’Everest è meno di un terzo.

Molti pensano che in montagna si riduca la quantità di ossigeno presente nell’aria. In realtà è presente la stessa percentuale che potremmo trovare al livello del mare. Cambia, però, la pressione parziale, che come molti alpinisti e scalatori sapranno, si riduce con l’aumentare della quota. È per questo che al nostro organismo arriva un apporto di ossigeno insufficiente.

Perché in montagna la pressione è più bassa
Una scena del film “Everest”, con Jake Gyllenhaal. Credit: Universal Pictures.

No, l’aria di montagna non contiene meno ossigeno

Pensate che l’ossigeno presente nell’aria è solo il 21% della “miscela” gassosa che compone l’atmosfera. Gli altri componenti dell’aria sono azoto (78%), anidride carbonica (0,03%), argon (0,81%) e per lo 0,2127 da altri gas.

La stessa percentuale di ossigeno c’è sia al livello del mare, che in alta montagna. Cambia, come anticipavamo, la pressione parziale, che non è altro che la pressione che un componente avrebbe se occupasse, da solo, l’intero volume della miscela alla stessa temperatura.

La pressione parziale di ossigeno nell’aria varia in modo inversamente proporzionale all’aumentare della quota. Ed è qui che i valori cambiano tantissimo, perché se la pressione parziale è a 160 mmHg (millimetri di mercurio) sul livello del mare, si abbassa a 110 mmHg superati i 3000 metri di altitudine. Qui cambia anche la saturazione nel sangue (ovvero la percentuale di emoglobina nel sangue), che passa dal 98% al 90%: ecco perché quando si scala una montagna ci si affatica così facilmente.

A quote comprese fra i 5000 e i 6000 metri, invece, le cose si fanno ancor più complicate, perché la pressione parziale dell’ossigeno scende a 80 mmHg. Sull’Everest, la montagna più alta del mondo (8.848 metri sopra al livello del mare) la pressione parziale è di circa un terzo (50 mmHg) rispetto a quella sul livello del mare. Qui la saturazione nel sangue arriva addirittura al 25%. Ecco spiegato, quindi, perché gli alpinisti hanno bisogno di portare con sé bombole di ossigeno, quando raggiungono la cima dell’Everest.

Riferimenti:

  • https://www.pietropaganini.it/2017/08/05/la-dea-montagna-ci-riempie-ossigeno/

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La ridotta disponibilità di ossigeno in alta quota causa un aumento progressivo della pressione arteriosa nelle 24 ore. Lo dimostra uno studio dell’Università di Milano-Bicocca e dell’Istituto Auxologico Italiano pubblicato sullo European Heart Journal. I ricercatori hanno anche dimostrato che la “protezione” farmacologica regge solo fino a 3400 metri di altezza, ma non a quote più elevate.

27 AGO - La ridotta disponibilità di ossigeno in alta quota causa un aumento della pressione arteriosa nelle 24 ore. A dimostrarlo, per la prima volta, è una ricerca dell’Istituto Auxologico Italiano e dell’Università di Milano-Bicocca e, condotta sul Monte Everest e pubblicata online oggi sullo European Heart Journal.
I ricercatori hanno anche osservato che il telmisartan, un farmaco usato per abbassare la pressione arteriosa, è efficace nel contrastare gli effetti della quota sull’incremento di pressione fino a 3400 metri, mentre non lo è più alla quota di 5400 metri, cioè all’altezza del Campo Base dell’Everest.
I risultati mostrano come durante l’esposizione alla quota molto elevata di 5400 metri si verifichi un aumento di 14 mmHg nel valore medio della pressione arteriosa sistolica delle 24 ore e di 10 mmHg nella pressione diastolica.

  Nel corso dello studio è stata monitorata la pressione arteriosa in condizioni dinamiche per 24 ore a diverse altitudini. La ricerca ha coinvolto un gruppo di volontari sani che normalmente vivono, lavorano e svolgono attività sportive a livello mare, con lo scopo di indagare gli effetti sulla pressione arteriosa e su numerosi altri aspetti della funzione cardiorespiratoria generati da una esposizione acuta e prolungata alla ridotta disponibilità di ossigeno in alta quota. I risultati possono tuttavia essere di interesse anche per persone che, pur trovandosi a bassa quota, potrebbero per svariati motivi, trovarsi temporaneamente in ipossia, senza cioè un adeguato apporto di ossigeno. È quello che succede, ad esempio, a quanti soffrono di apnee notturne, episodi che riducono a intermittenza la concentrazione di ossigeno nel sangue facilitando la comparsa di ipertensione arteriosa e il rischio di attacchi ischemici o cardiaci.

 

&lt;br&gt; Durante la spedizione, la pressione arteriosa è stata misurata ogni mattina. I valori di pressione sono stati monitorati anche utilizzando un dispositivo in grado di misurarla ogni 15-20 minuti durante l’intero arco della giornata, fornendo i dati per il “monitoraggio dinamico della pressione”, un metodo molto più accurato della misurazione tradizionale per valutare il reale livello pressorio. Con questo metodo è anche possibile misurare la pressione arteriosa notturna, che è normalmente inferiore del 10-20 per cento rispetto ai valori diurni, permettendo di valutare meglio la prognosi rispetto ad altri parametri pressori. La mancata riduzione della pressione durante le ore notturne, nonostante lo stato di sonno, può essere un segno di alterazioni nella regolazione della funzione dei vasi sanguigni e del cuore.&lt;br&gt; &amp;nbsp;&lt;br&gt; Per lo studio, tredici dei quindici autori, insieme a 47 volontari, hanno raggiunto il campo base sud (lato Nepalese) del monte Everest, ad un’altitudine di 5400 metri sul livello del mare. Prima, però, ci sono state delle tappe intermedie: partenza da Milano (altitudine 120 metri) con volo in direzione Kathmandu, Nepal (1355 metri), dove il gruppo si è fermato per tre giorni. Poi, ricercatori e volontari si sono spostati rapidamente, ancora in volo, a Namche Bazaar, sempre in Nepal (3400 metri), dove sono rimasti per altri tre giorni prima di iniziare il trekking di risalita (5 giorni) verso il campo base dell'Everest, dove si sono fermati per 12 giorni.&lt;br&gt; &amp;nbsp;&lt;br&gt; I volontari sono stati assegnati in modo casuale a ricevere un placebo o un farmaco comunemente utilizzato in clinica per la terapia dell’ipertensione arteriosa, il telmisartan (80mg). I risultati mostrano come sia nei soggetti randomizzati al trattamento con farmaco attivo, sia in quelli randomizzati a placebo, cioè senza terapia, la pressione aumenti significativamente in quota rispetto ai valori iniziali, soprattutto nelle ore notturne, e come l’assunzione del farmaco antipertensivo possa permettere di contenere questo fenomeno, ma solo fino a determinate quote.&lt;br&gt; &amp;nbsp;&lt;br&gt; &lt;b&gt;Gianfranco Parati&lt;/b&gt;, coordinatore del progetto, professore ordinario di Malattie dell’Apparato Cardiovascolare dell’Università di Milano-Bicocca e Direttore del Laboratorio di Ricerche Cardiologiche dell’Istituto Auxologico Italiano, ha spiegato: "Il nostro studio fornisce la prima dimostrazione sistematica che con l’aumentare della quota aumenta progressivamente e marcatamente la pressione arteriosa. Questo incremento avviene immediatamente al raggiungimento dell’alta quota, perdura durante l’esposizione prolungata all’alta quota ed è evidente durante tutto l’arco delle 24 ore, ma con un incremento maggiore nelle ore notturne, con conseguente attenuazione della fisiologica caduta notturna della pressione. La pressione si normalizza una volta ritornati al livello del mare. Inoltre, l’aumento della pressione sistolica al Campo Base dell’Everest è stato maggiore in persone di età superiore ai 50 anni rispetto ai soggetti più giovani".&lt;br&gt; &amp;nbsp;&lt;br&gt; "Questi dati - ha continuato Parati - possono avere implicazioni utili per la cura di pazienti con malattie croniche associate ad uno stato di ipossia, quali lo scompenso cardiaco (ove si osserva una periodica interruzione del respiro), la riacutizzazione della broncopneumopatia cronica ostruttiva, le apnee ostruttive nel sonno o l’obesità di grado severo. Messe insieme, queste condizioni si riscontrano in più di 600 milioni di persone nel mondo, il che rende i nostri risultati molto significativi dal punto di vista clinico. L’aumento di pressione osservato può essere attribuito a diversi fattori, tra i quali il più importante sembra l’attivazione del sistema nervoso simpatico, determinato dalla ridotta disponibilità di ossigeno. Tale fenomeno fa si che il cuore venga sottoposto ad un carico maggiore di lavoro e che i vasi sanguigni si costringano".&lt;br&gt; &amp;nbsp;&lt;br&gt; "I nostri risultati – ha concluso Parati – ci permetteranno di istruire i pazienti con problemi cardiovascolari sulle precauzioni necessarie in caso di esposizione all’alta quota per motivi lavorativi o ludici. Inoltre il nostro studio sottolinea l’importanza del monitoraggio dinamico ambulatorio della pressione nella caratterizzazione dei livelli pressori nelle condizioni di vita reale; questo dato sembra particolarmente rilevante in condizioni di ipossia, i cui effetti possono essere molto più evidenti durate le attività quotidiane che non a riposo".&lt;br&gt; &amp;nbsp;&lt;br&gt; La spedizione sull’Everest, che si è svolta nel 2008, è parte di una serie di spedizioni ad alta quota condotte dai ricercatori della Bicocca e dell’Auxologico nell'ambito del progetto di ricerca HIGHCARE (HIGH altitude CArdiovascular REsearch). Sulle Alpi, alla Capanna Regina Margherita sul Monte Rosa (4559m) sono state studiate le risposte di volontari a diversi interventi farmacologici e non farmacologici volti a contrastare gli effetti cardiovascolari dell’ipossia ipobarica acuta. Nelle Ande Peruviane sono state invece studiate le modificazioni della pressione arteriosa nelle 24 ore sia in persone che vivono stabilmente a quote elevate, sia in soggetti ipertesi, che vivono in paesi sul livello del mare, quando sono esposti acutamente a quote elevate. HIGHCARE Alps–Mont Blanc è invece la spedizione di ricerca ancora in corso sulle reazioni dell’organismo al lavoro in alta quota organizzata sempre dall’Università di Milano-Bicocca e dall’Istituto Auxologico Italiano in collaborazione con la l’Azienda USL Valle D’Aosta sui cantieri della nuova funivia del Monte Bianco.&lt;br&gt; &lt;br&gt; &lt;span class="testo_rosso_data"&gt;27 agosto 2014&lt;/span&gt;&lt;br&gt; &lt;span class="container_mail"&gt;© Riproduzione riservata&lt;/span&gt; &lt;div class="filo_medio" style="width:100%"&gt;&lt;/div&gt; &lt;div class="fb-comments" data-href="https://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=23084" data-width="670" data-numposts="15"&gt;&lt;/div&gt; &lt;div class="approfondimenti_articolo" style="clear:left"&gt; &lt;em&gt;&lt;br&gt; Altri articoli in Scienza e Farmaci &lt;/em&gt;&lt;br&gt; &lt;/div&gt; &lt;div class="filo_medio" style="width:100%"&gt;&lt;/div&gt; &lt;div class="container_notizie_mini"&gt; &lt;div class="container_notizie_mini_img"&gt;&lt;img src="https://www.quotidianosanita.it/micro/1667933112.jpg" width="60" height="60" alt="immagine_1"&gt; &lt;/div&gt; &lt;div class="container_notizie_mini_testo"&gt;&lt;a target="_blank" href="https://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=108736"&gt;Payback farmaci. 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L'azione anti-infiammatoria del melograno come strategia nutrizionale preventiva&lt;/a&gt;&lt;/div&gt; &lt;div class="spacer"&gt;&lt;/div&gt; &lt;/div&gt; &lt;div class="container_notizie_mini"&gt; &lt;div class="container_notizie_mini_img"&gt;&lt;img src="https://www.quotidianosanita.it/micro/front9122608.jpg" width="60" height="60" alt="immagine_4"&gt; &lt;/div&gt; &lt;div class="container_notizie_mini_testo"&gt;&lt;a target="_blank" href="https://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=23072"&gt;Remsima. Mundipharma ottiene licenza per futura distribuzione&lt;/a&gt;&lt;/div&gt; &lt;div class="spacer"&gt;&lt;/div&gt; &lt;/div&gt; &lt;div class="container_notizie_mini"&gt; &lt;div class="container_notizie_mini_img"&gt;&lt;img src="https://www.quotidianosanita.it/micro/front2847833.jpg" width="60" height="60" alt="immagine_5"&gt; &lt;/div&gt; &lt;div class="container_notizie_mini_testo"&gt;&lt;a target="_blank" href="https://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=23065"&gt;ZMapp. Come nasce il ‘siero segreto’ anti Ebola&lt;/a&gt;&lt;/div&gt; &lt;div class="spacer"&gt;&lt;/div&gt; &lt;/div&gt; &lt;div class="container_notizie_mini"&gt; &lt;div class="container_notizie_mini_img"&gt;&lt;img src="https://www.quotidianosanita.it/micro/front8824630.jpg" width="60" height="60" alt="immagine_6"&gt; &lt;/div&gt; &lt;div class="container_notizie_mini_testo"&gt;&lt;a target="_blank" href="https://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=23054"&gt;Antibiotici. Claritromicina killer?&lt;/a&gt;&lt;/div&gt; &lt;div class="spacer"&gt;&lt;/div&gt; &lt;/div&gt; &lt;/div&gt; &lt;div class="container_des_articoli"&gt; &lt;div id="div-gpt-ad-1360140289492-0" style="width:300px;height:250px"&gt; &lt;script type="text/javascript"&gt; googletag.display('div-gpt-ad-1360140289492-0'); </div> <div class="filo_micro"></div> <div id="newsletter"></div> <div class="container_mail" style="text-align:center"><strong><a target="_blank" href="https://www.quotidianosanita.it/newsletter.php" style="text-decoration:underline">ISCRIVITI ALLA NOSTRA NEWS LETTER</a></strong><br> Ogni giorno sulla tua mail tutte le notizie di Quotidiano Sanità. <br> <br> <div class="container_mail_form"> </div> </div> <div class="filo_micro"></div> <div id="div-gpt-ad-1360140289492-1" style="width:300px;height:250px"> <script type="text/javascript"> googletag.display('div-gpt-ad-1360140289492-1');

Perché in montagna c'è bassa pressione?

Quindi semplificando, in montagna ci sarà tendenzialmente bassa pressione mentre al mare sarà più alta. Inoltre in montagna, o per meglio dire ad alta quota, la pressione è più bassa perché l'aria è anche meno densa, e quindi pesa meno. Detto in altri termini, meno pressione sulle nostre teste.

Quando si va in montagna la pressione si alza?

Uno studio di Auxologico e dell'università di Milano-Bicocca ha dimostrato che la pressione arteriosa aumenta in modo significativo durante l'esposizione ad alta quota (sopra i 2500 metri), e inizia a modificarsi già ad altitudini moderate.

Come varia la pressione arteriosa con l'altitudine?

Secondo la Società Italiana Medicina di Montagna, la pressione arteriosa sale se ci si trova ad alta quota (sopra i 2500 metri), ma inizia a modificarsi anche in caso di salita ad altitudini moderate (attorno ai 1800-2000 metri).

Perché in montagna la pressione è più alta?

Questo perché all'aumentare della quota diminuisce la disponibilità di ossigeno nell'aria e ciò può portare ad un aumento del lavoro cardiaco, ad un incremento del lavoro a livello respiratorio e ad un aumento della pressione arteriosa.